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Opinioni

I figli sono soggetto di diritti, non oggetto di quelli altrui

“La felicità non coincide con la soddisfazione del bisogno o del desiderio: la felicità è frutto di uno stato di coscienza interiore che non può prescindere dal rapporto con l’altro” (Buber/G. Soldera).  Accostarsi alla vita, ed in modo particolare alla vita nascente, è sempre un po’ come accostarsi ad un mistero, forse il più grande che Dio e la natura ci abbiano concesso di toccare. Complesso, mai completamente afferrabile e al contempo così nostro da pensarlo completamente nelle nostre mani. Eppure più studiamo lo sviluppo della vita umana più la sua bellezza chiede di essere vista e condivisa in tutta la sua chiarezza senza mezze verità che tanto ci aiutano a sorvolare sulle difficoltà delle scelte ma poco ad agire in piena libertà.

Fino a che punto, alla luce degli studi di epigenetica, delle neuroscienze, della biologia, possiamo ritenere che la maternità surrogata possa essere una nuova conquista scientifica e tecnologica per alleviare la sofferenza umana e una fonte di nuova felicità? Emotivamente la vicinanza con tutte le coppie che desiderano un figlio e non lo possono generare ci farebbe guardare solo al dolore che viene custodito in quei cuori e ci spronerebbe a darci da fare affinché possano veder soddisfatto il loro desiderio, specie se tecnicamente realizzabile.

Tuttavia, il rispetto del desiderio di maternità e paternità dovrebbe confrontarsi in una simmetria di diritti tra tutti i soggetti in campo e la domanda che dovremmo farci è tanto forte quanto semplice: il figlio è un oggetto di diritti altrui o un soggetto di diritti?

Perché la nostra società ha smesso di guardare al figlio sin dalla sua vita prenatale come soggetto, dotato di un corpo di una psiche di un suo progetto di vita necessariamente diverso da quello dei genitori, biologici o intenzionali? È compito dei grandi prendersi cura dei piccoli, essere genitori significa fare il meglio per i propri figli a volte facendo delle rinunce perché la relazione chiede sempre un punto d’incontro e quando siamo in relazione con un bambino, siamo noi adulti a dover fare un passo indietro. Se leggiamo gli studi sui legami strettissimi che si creano tra cucciolo di specie e la madre che lo porta in grembo, se ci fermiamo a riflettere sui lavori scientifici che dimostrano come scambi metabolici tra madre e bambino modifichino persino l’attivazione genetica del piccolo, come il cuore dell’uno impari a regolarsi su quello materno, su come tutto nella gestazione sia fatto perché il cucciolo riconosca la madre alla nascita e il suo odore, la sua voce siano elementi che sviluppano il suo attaccamento, il senso di sicurezza e la regolazione delle emozioni, dobbiamo chiederci se la maternità surrogata sia davvero un atto di amore e di donazione per tutti i soggetti coinvolti.

Siamo uomini e donne che custodiscono nella capacità generativa un frammento di Dio, ma generare non significa capacità di partorire, significa dare vita all’amore, significa far crescere ciò che in noi c’è di divino e non dimenticarlo mai, nemmeno quando un nostro profondo desiderio non riesce a trovare risposte. Anzi proprio in quei momenti la certezza di essere ad immagine e somiglianza di Dio dovrebbe scaldarci il cuore e portarci oltre il limite dell’io per incontrare il tu e realizzare il noi: quella coscienza interiore che genera felicità.

Elisa Gasparotto
Psicologa, psicoterapeuta, Centro di Aiuto alla vita, Udine

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