di
Roberto Pensa
La “parata” del 10 giugno a Udine si presenta come un momento di lotta alle discriminazioni omofobe. In realtà si è fatta precedere da un “manifesto politico” molto radicale che ne muta di fatto la natura. Inoltre spiccano due fragorosi silenzi. In primo luogo lo stile rivendicativo dei diritti delle persone omosessuali tiene in ombra un mondo di travagli e sofferenze che vivono tante persone che si trovano con tale orientamento affettivo e sessuale, che non sono determinate solo dall’intolleranza omofobica della nostra società ma anche da fatiche e disagi reali, morali e psicologici. In secondo luogo, si tace sul grande tema delle maternità surrogate. Al di la delle motivazioni antropologiche ed etiche che dovrebbero negare una simile ipotesi, ci aspetterebbe almeno la franchezza di ammettere l’indegno mercato che si è sviluppato. Non ha niente da dire l’FVG Pride sull’inaccettabile mercimonio in atto intorno alla generazione della vita, tra l’altro con il ripugnante aspetto discriminatorio di prezzi molto differenziati in base all’estrazione razziale e sociale degli ovuli e della madre surrogata? Clicca “Continua” per leggere tutto l’editoriale
A Udine arriva, sabato 10 giugno, l’FVG Pride, ovvero l’annuale manifestazione organizzata nel Nordest dalla frazione più politicizzata del mondo omosessuale e transessuale, ad immagine del “Gay Pride” nazionale. La “parata”, che dalla stazione ferroviaria arriverà fino in Castello, dove si terranno i discorsi ufficiali e un concerto, viene annunciata come un momento pubblico di contrasto alle discriminazioni contro le persone omosessuali. In realtà, il raduno udinese si è fatto precedere da un vero e proprio “manifesto politico”. Questo lo trasforma in un’azione politica che dà un’altra natura al movimento. Essere contrari all’omofobia (la cui espressione, oggi in Friuli, è peraltro molto circoscritta), infatti, non ha niente a che fare con l’accettazione di un “manifesto politico”, veicolante una visione atomistica della società che ha al centro il singolo individuo (al massimo unito da una “relazione sessuale e romantica” con un’altra persona, come recita il documento) e i suoi “diritti” (tra i quali spiccano l’aborto facile e l’eutanasia, la libera prostituzione, il matrimonio tra persone dello stesso sesso, compresa la possibilità di adottare un bambini) ma nel quale scompaiono il bene comune della società e la difesa delle sue componenti più fragili e si vorrebbe pure far diventare reato, per una confessione religiosa, sostenere modelli comportamentali che contrastino tale visione.
Fatta questa premessa, vanno rilevati due fragorosi “silenzi” della manifestazione udinese.
In primo luogo lo stile rivendicativo dei diritti delle persone omosessuali tiene in ombra un mondo di travagli e sofferenze che vivono tante persone che si trovano con tale orientamento affettivo e sessuale. Queste sofferenze non sono determinate solo dall’intolleranza omofobica della nostra società ma anche da fatiche e disagi reali, morali e psicologici. Passarli sotto silenzio non ci sembra onesto e rispettoso né verso chi li vive, né verso i ragazzi e gli adolescenti che stanno maturando la loro identità affettiva e sessuale.
In secondo luogo suona come un ambiguo silenzio il non parlare della questione dell’utero in affitto. Si liquida la questione con il fatto che tale pratica in Italia è proibita. Non possiamo però dimenticare che proprio in Friuli risiedono delle coppie omosessuali che hanno “ottenuto” un figlio all’estero attraverso la maternità surrogata e che il manifesto politico dell’FVG Pride sostiene la “stepchild adoption” (l’adozione dei figli del partner omosessuale), cioè l’agevole strumento giuridico con cui si vogliono regolarizzare in Italia, creando vere e proprie “famiglie omosessuali”, frutto di compravendite di ovuli e di gravidanze surrogate effettuati all’estero.
Al di la delle motivazioni antropologiche ed etiche che dovrebbero negare una simile ipotesi, ci aspetterebbe almeno la franchezza di ammettere l’indegno mercato che si è sviluppato. Non ha niente da dire l’FVG Pride sull’inaccettabile mercimonio in atto intorno alla generazione della vita, tra l’altro con il ripugnante aspetto discriminatorio di prezzi molto differenziati in base all’estrazione razziale e sociale degli ovuli e della madre surrogata? Non ha niente da dire l’FVG Pride sui comprovati casi di sfruttamento di migliaia di donne di Paesi in via di sviluppo come madri surrogate? In un Friuli che vanta una gloriosa tradizione e percentuali da record di donazione di sangue e di organi, intesi come atti di gratuità assoluta, l’Fvg Pride sente qualche imbarazzo nel parlare di donazioni di ovuli quando dietro ad esse c’è un commercio improntato al più disinvolto mercantilismo?
Infine, desidereremmo che si riconoscesse che la Chiesa non ha un atteggiamento di rifiuto verso persone che si ritrovano con orientamenti omossessuali. Mentre, però, è pronta ad accogliere ogni persona nella sua concreta situazione, invita anche a riflettere seriamente sulle interpretazioni di questa stessa condizione, perché essa non sbocci in esiti contrastanti il bene-essere delle persone e il loro desiderio di felicità. E proprio su questo la Chiesa invita tutti ad un confronto approfondito e pacato convinta che è grave la posta in gioco.
Roberto Pensa