«Dopo la seconda guerra mondiale siamo nel momento più vicino alla guerra». «E tanto più siamo stupidi quanto meno lo vediamo». Chi parla è il cardinale Claudio Gugerotti, nunzio apostolico in vari Paesi del mondo, anche in Ucraina. Dal 21 novembre 2022 è prefetto del Dicastero per le Chiese orientali. Sabato 14 settembre ha partecipato con una lectio magistralis sulla Pace alla XII Biennale d’arte dell’Abbazia di Rosazzo, dove è esposta la mostra personale di Pablo Atchugarry “Messaggi di Pace”, ospitata all’interno della rassegna “Arte per credere”. È stato anche ospite di mons. Edoardo Scubla, a Buia, comunità in cui nel 1976 è stato volontario nel terremoto ed ha coltivato profonde relazioni che mantiene ancora. In quella circostanza ha imparato pure il friulano. A margine dell’inaugurazione della mostra, il nostro settimanale ha realizzato un’ampia intervista con il cardinale (che si può leggere in forma integrale sulla Vita Cattolica del 18 settembre 2024), di cui qui pubblichiamo un estratto.
Eminenza, quando l’arcobaleno splenderà sui fronti di guerra in atto?
«Io credo che la guerra non possa essere eterna. La guerra deve finire. Il problema è che se finisce la guerra combattuta, c’è il rischio che cominci una guerra di odio che va avanti per secoli. Questa non è meno pericolosa. Io sono stato nunzio in Ucraina e le bombe le ho viste e sentite prima che scoppiasse la guerra. I prodromi c’erano tutti, da molto prima. A partire da questa micidiale esperienza che stiamo vivendo sempre più in abbondanza che è quella del ripiegamento sulla nazione come concetto portante della politica».
Un concetto pericoloso, quello di “nazione”?
«È un concetto bellicista in sé. Perché quando si parla di nazione si parla sempre per limitare un’altra nazione. O economicamente o dal punto di vista delle armi. L’amore per la Patria è un’altra cosa. L’esaltazione della nazione è sempre bellica. A partire dagli slogan politici: fare grande il proprio Paese».
Perché non riusciamo a dir di no alla corsa agli armamenti?
«Sa perché? Perché i primi a guadagnare sono i paesi che dicono di non entrarci. Cioè si sono arricchiti tutti quelli che dicono che non è con le armi che si risolvono i conflitti. Guardiamo, per favore, dove si trovano le industrie che costruiscono le armi. E poi facciamo le sanzioni, che obbligano solo a fare il giro di quel Paese per farle entrare da un altro confine…».
Ci riguarda da vicino come Italia.
«Certo che ci riguarda da vicino, perché noi le produciamo, noi abbiamo interesse a venderle. Ci sono pochi regali di armi. E se ci fossero, pagherebbe il Governo che le regala».
Francesco Dal Mas