Verso la fine del 2017 usciva nelle sale di tutto il mondo Coco, un film di animazione ambientato in un colorato e melodioso Messico durante il Giorno dei morti (El Día de Muertos). Il film esplora il tema della memoria, dell’identità e della morte, mostrando come le persone continuino a “vivere” nell’aldilà solo finché vengono ricordate dai propri cari; quando il ricordo si affievolisce e i vivi smettono di rievocarle, le anime dei defunti svaniscono nel nulla. Ora, questo accade nel mondo del film Coco.
Ma noi, cosa crediamo? Cosa ci attende dopo la morte? Pensiamo, come Foscolo, che continueremo a vivere solamente nella memoria di chi resta? Oppure siamo convinti che, una volta morti, continueremo ad esistere anche quando non ci sarà più nessuno a ricordarci? Anche se è vero che «in faccia alla morte l’enigma della condizione umana diventa sommo» (Gaudium et Spes 18), noi cristiani crediamo che la luce della Rivelazione sia capace di fendere il buio dell’incertezza e della paura umane. D’altra parte il cristianesimo crede nell’immortalità dell’anima, non è vero? Beh, sì e no. O almeno, non è sempre stato così e, comunque, non per le ragioni che comunemente si immaginano. Nei primi secoli del cristianesimo la fede nell’immortalità dell’anima non era un assunto così ovvio. I primi cristiani, attenti lettori della Sacra Scrittura, avevano solide ragioni per ritenere che l’anima non fosse immortale: si pensi ad esempio al concetto di «seconda morte» menzionato nell’Apocalisse (es. Ap 20,14) e, soprattutto, alle parole di Gesù: «Temete piuttosto colui che ha il potere di far perire nella Geènna sia l’anima che il corpo» (Mt 10,28). E non c’è da meravigliarsi più di tanto perché il cuore del messaggio cristiano, il kèrygma evangelico, non si fonda sull’immortalità dell’anima, ma sulla resurrezione della carne.
I Padri della Chiesa, lungo i secoli, hanno certamente approfondito il tema della natura dell’anima, ma non ne hanno proclamato l’immortalità per le stesse ragioni filosofiche o religiose del mondo greco-latino. L’anima, secondo il pensiero cristiano antico, non è immortale perché gode di una parentela intrinseca con l’anima degli dèi (συγγένεια πρὸς θεούς), come si credeva ad esempio nel platonismo o nell’orfismo, ma per volontà divina, per un atto d’amore completamente gratuito di Dio. In altre parole è il Creatore che, nel suo amore sconfinato, non vuole che ciò che ha creato smetta di esistere. Mai! Ogni cosa che esiste è voluta da Dio e, proprio per questo motivo, continua ad esistere anche oltre la morte. Come scrive Ilario di Poitiers: «A nulla servirebbe avere una concezione giusta di Dio, se ogni forma di coscienza fosse distrutta radicalmente alla morte e consumata da una sorta di consunzione della natura decadente. Inoltre, non sarebbe cosa degna di Dio aver creato l’uomo in questa vita, dotato di equilibrio e sapienza, per cessare di vivere e morire per tutta l’eternità. Se così fosse, chi non esiste diviene esistente solo per tornare al nulla, laddove sappiamo che il solo motivo per cui abbiamo ricevuto la vita è questo: che cominciasse ad esistere ciò che non esisteva, non che cessasse di esistere ciò che aveva cominciato ad esserlo» (De Trinitate, I, 14). Il sapore della riflessione patristica dei primi secoli è di chiara matrice biblica e non possiamo fare a meno di ritrovare il volto di quel «Dio amante della vita» di cui parla il libro della Sapienza: «Tu infatti ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato. Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato all’esistenza?» (Sap 11,24-25).
La prossimità della festa di tutti i santi e della commemorazione dei fedeli defunti può diventare davvero un’occasione preziosa per raccontare con rinnovato vigore l’immensa misericordia del Padre. La prospettiva del film Coco, dunque, non deve spaventarci ma, al contrario, aiutarci a riscoprire la consolazione che la nostra fede ci dona. Come dice il profeta Isaia: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49,15). Questa è la certezza che ci accompagna: Dio non ci dimentica, neppure nella morte o dopo di essa. E non dimentica nessuno dei suoi figli, perché come ci ricorda il Salvatore stesso: «questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno» (Gv 6,39).
Don Matteo Marega