Recentemente la realtà carceraria della casa circondariale di Tolmezzo ha ricevuto la visita dell’arcivescovo mons. Riccardo Lamba, che ha tenuto nella cappella dell’istituto la prima delle sue catechesi giubilari ai ristretti (lo stesso ha fatto nel carcere di Udine). Le persone detenute sono state contente e grate di essere state visitate dal Pastore della Chiesa udinese. La sua visita, come ogni visita che non sia semplicemente formale o professionale, ma di vicinanza umana e personale, nella casa circondariale è sempre molto apprezzata da chi si sente dimenticato e abbandonato alla sua solitudine. Lo testimonia questa riflessione che abbiamo raccolto da un detenuto e riportiamo in forma integrale, quale significativo segno giubilare di speranza.
«Nell’inferno del carcere le visite sono gli unici momenti di gioia e speranza»
“Cosa significa essere visitato in carcere?
Che dire? Io sono recluso nel carcere di alta sicurezza di Tolmezzo, e qui la vita scorre tutti i giorni monotona, sempre con la stessa routine, e con un rumore fisso che ti accompagna per tutta la giornata, inesorabilmente.
Voi direte: qual è questo rumore? È lo sfrigolio delle chiavi dei poliziotti, e poi c’è pure quello delle serrature delle porte. Tu cominci a convivere con questo rumore, rumore che ti mette panico e ansia, e dici: ecco, stanno venendo da me, cosa sarà successo ancora? I pensieri vagano e pensi alla tua famiglia al di fuori di queste mura, ma ecco che il poliziotto ti dice: «Andate all’ora d’aria?» Ed ecco che tutti i pensieri e le angosce svaniscono, per il momento, ma si ripresenteranno al prossimo rumore.
Ed ecco che – grazie al rumore di una serratura – la mia vita è cambiata, ed oggi quando sento di nuovo quel rumore non percepisco più ansia o panico, ma speranza!
Questo grazie al mio cappellano; quando venne un giorno il poliziotto ad aprirmi la porta della cella, chiedendomi: «C’è il cappellano, vuoi incontrarlo?» Ed io risposi di sì. E quel sì mi ha cambiato totalmente. Ora non aspetto altro che quel rumore, al giovedì, al venerdì e al sabato… Sono gli unici rumori che aspetto con ansia positiva.
Un ringraziamento va anche al volontario che da trent’anni (!) viene in carcere a dare speranza ed augurare una vita nuova ai detenuti, che spesso non vengono valorizzati. Grazie a loro due ho ritrovato la speranza.
Ringrazio anche il volontario che anima alla tastiera le nostre Messe, e che, quando mi vede, mi tratta come uno della sua famiglia, e non fa distinzioni, anche se io mi trovo da questa parte, diciamo dei cattivi, e lui dei buoni. Ma diventiamo tutti uguali.
Oggi per me è diventato essenziale essere visitato da queste persone: insieme a quelli con la mia famiglia, sono gli unici momenti in cui dimentichi dove ti trovi, e metti il tuo cuore e la tua anima a nudo, e con loro hai un momento di gioia e di speranza, in questo inferno che si vive giorno per giorno nelle carceri.
Chiedo scusa per la mia grammatica. Sono le conseguenze di un’infanzia dove non ho avuto la possibilità di essere seguito, ma il Signore mi sta dando una seconda possibilità. Grazie!
Infine, in questo anno del giubileo della speranza, voglio dire ai detenuti: non perdete la fede e spogliatevi di questa omertà che vi ricopre; non c’è cosa più bella che aprirsi al Signore e avere speranza!