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Opinioni

La crisi di Suez penalizza il Friuli. Serve un’alleanza per lo sviluppo

Il Friuli è soggetto più di altri agli effetti determinati dal contesto geopolitico in virtù del fatto che qui sono assai robusti l’export e l’internazionalizzazione delle imprese. È palese la marginalità dell’Unione Europea nell’affrontare lo tsunami che giunge da Suez (con un traffico marittimo diminuito del 50%) e dall’azione dei guerriglieri Houthi dello Yemen sul traffico merci, come la fragilità delle misure nazionali e locali per far fronte alla situazione.

In ogni caso si registra un calo di fatturato delle nostre imprese (anche del 20%) e l’aumento dei noli e dei costi dei beni finiti e semilavorati (fino al 20%) cui si aggiunge la circostanza che numerose aziende sono costrette a ridurre o cancellare gli investimenti previsti per il 2024 e il 2025. In questa situazione il patrimonio produttivo sia del Friuli che dell’intero Friuli-Venezia Giulia, diversamente da altre realtà regionali, vede diminuire la quantità di export del 13% su base annua (di 2 miliardi di euro) e rischia di perdere ulteriormente quote di mercato e posizioni nei confronti delle regioni del Nord ed europee (234 realtà territoriali) relativamente al rapporto tra Pil-reddito pro capite e al grado di innovazione mentre è sotto pressione la funzione del porto di Trieste (il traffico nei principali porti italiani è sceso fino al 20%).

Se si combinano questi fattori ad altri fenomeni strutturali, logicamente connessi tra loro, come il cambiamento del clima, la regressione demografica, l’indisponibilità di profili professionali e competenze, la situazione appare in tutta la sua complessità e richiede visioni, capacità di anticipazione e misure radicali. In particolare, dovremo fare i conti con un Paese destinato a perdere 10 milioni di abitanti al 2070 e con 11 Regioni su 20 (resisteranno più di altre l’Alto Adige, il Trentino, l’Emilia-Romagna, la Lombardia) coinvolte da processi regressivi. Noi, poi, conviviamo con la mancanza di classi d’età tra i 17 e 44 anni e con l’innalzamento dell’età dei lavoratori.

Focalizzarsi sulla funzione delle competenze e della formazione, riconoscere i fabbisogni fornendo alle agenzie di sviluppo locale e alle imprese opportune strategie, strumenti e metodi appropriati deve rappresentare un assillo della politica industriale. Senza capacità di riprodurre risorse e competenze gli stessi livelli di sviluppo e standard di benessere sinora acquisiti è possibile vengano messi in discussione assai prima di quanto possiamo.

Penso sia urgente disporre di un “Piano per l’innovazione, il lavoro e il clima” per tenere unite le questioni dello sviluppo e dell’occupazione con quelle del clima e della sostenibilità ambientale.

Un Piano faccia evolvere il tessuto territoriale e produttivo attraverso la doppia transizione: quella ecologica ed energetica, l’economia circolare. Un Piano che contenga contemporaneamente gli indicatori relativi all’azzeramento delle emissioni climalteranti per la neutralità carbonica e che sostenga forme di rilocalizzazione della produzione “in casa” o in paesi “amici” e infrastrutture come la connessione a banda ultra larga disponibile per tutti i territori. Dall’altra parte il lavoro va ampliato, con il tasso di occupazione femminile portato al 70%, e reso di qualità mentre vanno inclusi e formati almeno 100.000 stranieri prima del decennio. L’innovazione dei processi produttivi, sotto la spinta delle tecnologie e della digitalizzazione, richiede lavoratori dotati delle competenze necessarie per governarli.
Le alleanze non transitorie tra soggetti diversi rappresentano una leva strategica e un vantaggio. Friulia, in collaborazione con strutture come IP4FVG e i Consorzi di sviluppo economico, deve dotarsi di un programma incisivo in grado di mettere le imprese nelle condizioni di generare innovazione continua per accrescere i livelli di produttività e possibilità competitive. Dall’altra parte, l’alleanza tra Trieste (Autorità di Sistema portuale alto Adriatico orientale, ecosistema portuale) e il Friuli (Consorzio di sviluppo economico del Friuli, ecosistema logistico-industriale) permette una più stringente relazione tra manifattura e logistica, l’innovazione del sistema ferroviario e l’efficacia degli hub interportuali a supporto del tessuto imprenditoriale e nella trasformazione dei flussi di traffico in valore. Servono tuttavia “indirizzi strategici” ambiziosi per i Consorzi, prima ancora di norme per sottometterli al dominio della Regione. Nel caso del Cosef, ad esempio, questi devono avere a che fare con il consolidamento delle politiche di attrattività di investimenti e imprese, con il concorso a rafforzare la rete e i servizi ferroviari, a partire dal completamento del “nodo di Udine, dal raddoppio della Cervignano del Friuli – Udine e dalla messa in esercizio dello scalo ferroviario, fino all’attivazione di Academy e forme di welfare territoriale.
Élite, classi dirigenti, attori territoriali e comunità locali: sono i soggetti chiamati ad accrescere capacità di visione, di interpretare e valutare scenari, di creazione di alleanze. Se per un verso è necessario migliorare i punti di forza (benessere raggiunto, qualità dei patrimoni) e superare rischi e criticità (efficienza istituzionale e dei servizi, povertà del lavoro, aree interne), per l’altro vi è la responsabilità di aumentare di scala nelle ambizioni di ognuno dei soggetti che hanno compiti di decisione e programmazione, per non assistere al perdurare di illusioni e banalità
Maurizio Ionico
Urbanista

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