Che il digitale abbia cambiato totalmente la vita delle persone è un dato di fatto. Basti pensare che, secondo l’ultima rilevazione Audiweb datata maggio 2024, il 94,5% degli italiani di ogni età naviga regolarmente on-line da smartphone, impiegando – in media – poco meno di tre ore al giorno. Un tempo cui vanno aggiunte le ore lavorative di chi, con internet, sviluppa la sua professione. Il digitale, insomma, è un ambiente di vita a tutti gli effetti. Ma in questo ambiente c’è posto per Dio?
In Italia si parla molto di “missionari digitali”, come li ha chiamati il Sinodo del novembre 2023 (dando un primo riconoscimento ecclesiale alla loro missione): si tratta di persone che vivono il digitale come un impegno di evangelizzazione, pubblicando video, testi o immagini ispirati al Vangelo e, soprattutto, abitando la rete con uno stile di ascolto, speranza, prossimità (per un rapido approfondimento si veda il paragrafo successivo). Uno di loro, senza troppe etichette, è don Pietro Giassi, prete 38enne noto ai lettori di “Vita Cattolica” per offrire periodici commenti al Vangelo. In servizio nelle Parrocchie udinesi di San Pio X e del Cristo, ogni giorno don Giassi pubblica su YouTube “Un minuto da Dio”, un breve filmato in cui offre una micro-riflessione sul Vangelo del giorno. E c’è un buon seguito di fedeli. Tradotto: alcune migliaia. «Cosa serve? Un calendario con i versetti del Vangelo del giorno, un telefono cellulare, un piccolo microfono. E cinque minuti di tempo», ha affermato a Radio Spazio.
Don Pietro, come è nata l’idea di questo canale YouTube e dei video “Un minuto da Dio”?
«Tutto è iniziato durante il periodo del Covid, quando ci siamo sentiti tutti slegati e “sfilacciati”: serviva un modo per mantenere un legame. Realizzai quindi un primo video da inviare con WhatsApp, che non si è rivelato lo strumento adatto. YouTube, invece, permette di non intasare i cellulari degli altri e, in aggiunta, offre le statistiche di ogni video. Così ho iniziato a caricare video di pochi minuti su YouTube, condividendo il semplice link. Dalle statistiche però notavo che in un video di 5 minuti il livello di attenzione crollava quasi subito: ho iniziato a fare filmati più brevi ed ecco nascere “Un minuto da Dio”».
Che riscontri ci sono dalle persone, online… e off-line?
«Off-line, cioè dal vivo, i riscontri sono pochi: alcuni parrocchiani ringraziano e incoraggiano. E fa bene. On-line ci sono alcuni “haters” che scrivono parolacce o cose non bellissime, ma molti altri apprezzano tanto: seguono regolarmente i filmati, lasciano commenti, mi contattano privatamente. È una cosa bella, che aiuta e dà motivazione».
Alla domanda “C’è spazio per Dio nel digitale?” cosa risponderesti?
«Chiederei: c’è spazio per Dio in palestra? Oppure al mare durante le vacanze? Io direi di sì: c’è spazio per Dio se lo facciamo entrare e desideriamo vivere la comunione con lui. Quindi sì, anche nel digitale c’è spazio per Dio. E c’è bisogno che anche l’ambiente digitale sia evangelizzato: lo vediamo con l’esperienza di Carlo Acutis, gli inviti e le testimonianze dei vari Papi – in particolare Benedetto XVI e Francesco – portando sempre quella luce di Vangelo che non si traduce solamente nell’abitare il web come se fosse un condominio, ma vuol dire uscire dalle assemblee condominiali digitali e portare il Vangelo».
I social media possono essere uno strumento di evangelizzazione? Ed eventualmente… fino a che punto?
«Lo possono essere nella misura in cui chi produce contenuti di un certo tipo è attento alle persone che entrano in contatto con questi contenuti. Se facessi questa opera “per me”, per avere più seguito (o follower), sarebbe fine a se stessa. In realtà è un tentativo per stabilire e mantenere un contatto con le persone, avviando un’interazione e un dialogo».
Quindi è un primo annuncio che ha bisogno di un “dopo”…
«Certo. Alcune volte ho invitato le persone a riporre il cellulare per ritirarsi in preghiera o leggere il Vangelo. Non posso sapere se l’hanno fatto o no, in fondo un minuto è un minuto: non si può basare un’esperienza spirituale su un tempo così ristretto. Con le persone c’è bisogno di “starci” davvero».
Ogni giorno quasi 3 ore on-line (senza lavoro)
Sono due le ricerche che periodicamente monitorano la presenza delle persone nell’ambiente digitale. Il “colosso” We Are Social, a gennaio, pubblica il suo report annuale secondo cui in Italia ogni persona spende on-line 5 ore e 49 minuti. È evidentemente compreso il tempo lavorativo, dal momento in cui l’altra grande ricerca, targata Audiweb, parla di esattamente tre ore in meno. Prendendo a riferimento i dati prudenziali di quest’ultima, quindi, possiamo affermare che circa tre ore al giorno sono dedicate al digitale per motivi diversi dal lavoro. Si badi bene che “smanettare” su internet non è una cosa da giovani: sebbene i dati siano leggermente inferiori alle altre fasce d’età, il 72% degli over-65 naviga quotidianamente on-line. Ma cosa si fa on-line? Principalmente cercare informazioni, guardare video e restare in contatto con una “community” (per esempio tramite i social media). E poi, ovviamente, c’è WhatsApp con la sua messaggistica e le sue storie.
In Italia almeno 90 “missionari digitali”
Di tutto questo la Chiesa si sta interrogando in maniera seria e approfondita. Il Sinodo del 2023 (da concludere con una seconda parte nell’ottobre 2024) ha dedicato un intero capitolo del documento finale di sintesi ai “missionari digitali”. In Italia c’è un gruppo di una novantina di persone nato dal progetto sinodale “La Chiesa ti ascolta”. Tra i vari, anche “volti noti” come Paolo Curtaz, don Alberto Ravagnani, don Cosimo Schena, Alumera, suor Naike Monique Borgo, Rosy Russo, don Luca Peyron, Fabio Bolzetta, Giovanni Tridente, Nicola Camporiondo e tanti altri. Il gruppo si è riunito alcune volte per conoscersi e riflettere assieme sulla testimonianza ecclesiale nel mondo digitale. Lo Spirito soffia, insomma, cosa germoglierà lo vedremo. E lo digiteremo.
Giovanni Lesa