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L'editoriale

L’editoriale della settimana

di Antonella Sbuelz

A Masha. E alle altre

Pubblicato su “la Vita Cattolica” nr. 10/2023

Ci eravamo illusi e illuse che la Storia, illuministicamente, avesse scelto la direzione del progresso. Certo, talvolta inciampando. Arrancando. Procedendo in salita. Continuando ad avanzare per esclusioni e contraddizioni. Ma la direzione pareva innegabile e aveva un nome semplice: progresso. L’orologio della Storia, invece, sembra d’un tratto retrocedere di secoli, azzerare diritti umani, accettare rigurgiti di nazionalismi pericolosi, precipitare nell’orrore della guerra. In questa riattualizzazione di dogmatismo e bellicismo di sapore medievale, altissimo è il prezzo pagato da tutti. Ma altissimo, in particolare, è il prezzo pagato dalle donne.

Nella primavera del 2023, in un Afghanistan stremato dal collasso economico e dall’emergenza alimentare, le donne sono nuovamente escluse dall’istruzione, dal lavoro, dalle attività sportive, dalla possibilità di viaggiare, dal diritto alla gioia di una passeggiata, se prive di un accompagnatore maschio. Espulse dal presente. E orfane di un futuro.

Nella primavera del 2023, in una Siria martoriata dal terremoto, le donne sono costrette a subire non solo la barbarie di una sanguinosa guerra civile, ma anche il buio di un regime oscurantista.

Nella primavera del 2023, donne in attesa di un figlio o con figli ancora bambini si aggrappano alla speranza e accettano il rischio di navigazioni disperate, tentando di accedere alla pace, alla sicurezza, alla stabilità economica, alla dignità esistenziale.

E nella primavera del 2023 è in corso una guerra, in Europa. Vicino. Una guerra al cui orrore ci stiamo pericolosamente abituando.

Ve lo ricordate? Lo scorso anno, nella bellezza atemporale del Foro Romano, la tredicesima stazione della Via Crucis ha assunto il volto di Irina e Albina. Due infermiere – l’una ucraina, l’altra russa- che sono diventate amiche e hanno difeso la loro amicizia dall’odio. Due donne che sono state scelte per un messaggio di pace contro la guerra. Solo che a molti questo è parso inconcepibile. A molti è sembrata scandalosa la vicinanza di due donne le cui nazioni sono contrapposte da un conflitto e da un’occupazione.

Eppure Irina e Albina sono innanzitutto donne: figlie, sorelle, probabilmente mogli e madri. Lavoratrici che si occupano di fragilità e che tentano la cura. Ciò che le accomuna è più significativo di ciò che le divide. Ma l’effetto estremo dei nazionalismi e dei conflitti implica l’azzeramento di ogni identità e appartenenza – plurime, condivisibili- per sostituirle con un’identità e un’appartenenza unica, di cifra nazionale.

Credo che della sorellanza universale incarnata da Irina e Albina oggi abbiamo urgente bisogno. Nessuna Giornata delle donne può esimersi dal rischio di trasformarsi in convenzionale occasione celebrativa se non accetteremo l’imperativo di condividere le nostre conquiste con le donne di ogni latitudine. In quanto donne, la sfida è quella di sottrarci a un pensiero dominante spesso ancora di accezione patriarcale, difendendo le affinità e il profondamente umano dalla logica delle contrapposizioni, delle dicotomie e del conflitto. “In quanto donna, la mia patria è il mondo intero», scriveva Virginia Woolf nel 1938, alla vigilia della seconda guerra mondiale. La sua consapevolezza sembra oggi rimossa.

Masha Amini è morta in un ospedale di Teheran nel settembre 2022, dopo essere stata arrestata dalla Polizia Religiosa iraniana con l’accusa di non aver indossato la Hijab in modo conforme a quanto stabilito dalle autorità. Oggi il mio pensiero finale va a lei.

Il canto delle tue dita

Che cosa amavi?

Dimmi, cosa amavi?

Forse amavi le parole strane e rare,

non ancora usurate dal dire. Forse amavi

l’inverno. O l’estate.  La seta

o le felpe di cotone. La morbidezza

dolce della pesca, l’aggressione

del pepe al palato. I versi di Rumi.

Il pallone. I tramonti, gli aquiloni,

il cioccolato. Strane domande.

Non lo saprò mai.

Lascia allora che pensi alle tue dita.

A quanto pesa un velo fra le dita

se le dita rifiutano il velo, se rifiutano

il buio che infuria

sullo scandalo della tua luce.

Tutto il tuo corpo parla. E parla ancora.

Parla forte la tua bocca rossa, la fierezza

del tuo sguardo che non cede, la mossa

del tuo fianco acceso al vento,

il seno ribellato allo spavento. Parla

il tuo polso, cantano le dita

che fanno vibrare in note libere

i lembi della Hijab.

Ma è colpa grave, Masha, non

lo sai?

È colpa il tuo essere donna e

non volerlo tacere.

Ascolta la notte, stanotte.

Ascolta la sua voce umana,

la sua forza divina, elementare.

Contiene ogni silenzio, ogni rumore.

Di uccelli, di passi, di stelle.

Di terra e di cielo, di mare. Contiene

ogni rivolta, ogni ferita.

E al limite estremo del suono

anche il pianto di chi non ha più

pianto. Anche il canto delle tue dita.

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