di
Stefano Comand
Tutti siamo missionari
Pubblicato su “la Vita Cattolica” nr. 38/2023
La Chiesa dedica un intero mese al tema della missionarietà perché questa è proprio la principale “missione” della Chiesa. Il vangelo di Matteo si conclude infatti con questa ultima esortazione di Gesù: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. (Matteo 28:19-20)
La missione non ha dunque confini, parte dalla porta di casa nostra per arrivare ovunque ci è dato di andare e coinvolge tutti i cristiani. Non è un compito affidato solo a degli “specialisti”, ai missionari che hanno lasciato la loro terra per portare il messaggio in luoghi e culture lontani. Tutti noi siamo missionari quando viviamo la nostra fede nei luoghi della nostra quotidianità: la famiglia, i luoghi di lavoro, la comunità.
La nostra testimonianza passa non solo nella parola, ma nel nostro impegno, nella nostra attenzione per gli altri, in quel “I care” (ho a cuore) che diventò il segno distintivo di don Lorenzo Milani di cui ricorre il centenario della nascita.
La missionarietà è anche l’origine dell’universalità della Chiesa che attraverso la storia si è diffusa in ogni parte del mondo e ci richiama ad una attenzione per l’altro che non conosce confini geografici. Ci regala la consapevolezza di essere veramente tutti figli dello stesso Dio Padre, legati ad un destino comune e ad una unica fratellanza come ben evidenziato nell’ultima enciclica di papa Francesco “Fratelli tutti”.
È quindi importante che ogni comunità cristiana possa vivere una relazione con un’altra comunità dall’altra parte del mondo perché ciò aiuta a mantenere questa consapevolezza, a fare nostre le difficoltà degli altri, a condividere, a prendere coscienza delle palesi ingiustizie tra il mondo opulento e quello in miseria delle periferie della Terra ma anche a gioire della relazione, dello scambio tra diverse culture, dei doni reciproci.
Questa relazione ci arricchisce e ci fa crescere soprattutto se è tra pari, se improntata su uno scambio reciproco. Il rischio di stabilire una relazione sbilanciata tra chi ha mezzi economici e chi non li ha è alto. Ma la relazione passa non tanto attraverso questi mezzi, sicuramente utili per realizzare dei progetti condivisi, quanto attraverso dei beni spirituali e culturali meno tangibili, ma molto più fondanti.
Ciò è evidente quando si parla con molte persone che hanno fatto delle esperienze di volontariato, anche brevi, presso Chiese sorelle e popoli impoveriti. La frase che ci si sente ripetere è questa: “Credevo di andare a salvare il mondo e invece ho scoperto che ho ricevuto molto di più di quanto abbia dato”.
La consacrazione di tre nuovi diaconi della Chiesa Udinese, uno togolese e due ghanesi, che rimarranno al servizio della nostra diocesi è emblematica di questo scambio di doni che, in quanto scambio, non è mai unidirezionale. Sarebbe bello e opportuno sapere di più delle loro comunità di origine perché, attraverso loro, si instaurino relazioni vive e durature tra la nostra Chiesa e quelle di loro provenienza. Le comunità dove questi diaconi presteranno il loro servizio pastorale sono chiamate a concretizzare questo scambio di conoscenza e di doni.
La nostra diocesi ha attivi dei gemellaggi con le diocesi di San Martín in Argentina, Emdibir in Etiopia, di Atene in Grecia quale segno dell’attenzione per l’universalità della Chiesa.
Buona missione a tutti!