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L'editoriale

Missione è uscire da sé

La parola “missione” come tante altre parole – “salvezza”, “amore”, “giustizia”, “diritto” – è usata e abusata molte volte, perdendone il significato originario, forse più aderente al Vangelo.

Non la troviamo scritta nel testo sacro, è un’invenzione, per così dire, di S. Ignazio nel 1500.

Se vogliamo ricomprendere la dimensione missionaria del credente dobbiamo andare alle origini di questa esperienza di fede. Giovanni Paolo II diceva: “Gesù è il primo missionario del Padre”, il primo inviato del Padre.

L’esperienza cristiana che prende le mosse da un dono: “In questo si è manifestato per noi l’amore di Dio: che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, affinché, per mezzo di lui, vivessimo. In questo è l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ha amato noi e ha mandato suo Figlio … ”. (1 Gv 4,9-10)

Questa esperienza di invio e dono è all’origine dell’esperienza cristiana. Tutta l’esperienza cristiana ha come filo conduttore l’amore di Dio per l’umanità che si manifesta in Gesù di Nazareth.

Il cuore del credente è chiamato a fare esperienza di questo amore, un amore così grande che lo spinge all’incontro, alla trasmissione di amore agli altri. Come dice S. Paolo: “Poiché l’amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti …” 2 Cor 5,14.

Quale dunque il senso del verbo nella frase: “L’amore di Cristo ci spinge”? Si tratta di una realtà altra che preme interiormente, assedia, forza, spinge, vince. “L’amore di Cristo domina in noi, ci costringe, ci guida” (Wendland).

Tutto il vissuto e le proposte ecclesiali dovrebbero avere come punto di verifica un cuore che si sente mosso dall’amore di Dio. Altrimenti stiamo fallendo.

La qualità di “questo amore” si caratterizza per la totalità, l’universalità, la globalità dei soggetti a cui è rivolto. L’orizzonte di visione non è più solo il locale, ma il locale coniugato con l’universale. La specie umana non è più vista come “a sé stante” ma coniugata con tutto il resto della creazione (ecologia integrale). Un popolo, una nazione considerati non più singolarmente ma interdipendenti, l’uno con l’altra.

Il primo passo, quindi, verso la missione è un’educazione del cuore e all’esperienza di Gesù inviato del Padre.

Il secondo passo verso la missione è la relazione. Ogni credente vive di relazioni e questo è il primo luogo di evangelizzazione, di condivisione dell’amore del Padre che è stato riversato nei nostri cuori. Le relazioni sono “innaffiate” da questo cuore credente che è stato amato in modo unico e sovrabbondante. Le relazioni di ciascun credente sono uniche e sono il vincolo privilegiato per condividere ciò che di più prezioso abbiamo nel nostro cuore: il dono della fede. Relazioni a 360°, declinate con i concetti di accoglienza, ospitalità, fraternità.

Ci sono poi relazioni dove ci sintonizziamo con altri fratelli nella fede sulla lunghezza d’onda di questo amore universale. Queste sono relazioni che diventano un gruppo ministeriale chiamato a educare all’amore di Dio e sensibilizzare tutta la comunità sul tema della carità universale, sul tema dell’annuncio di Gesù a tutti i popoli.

Altro passo è la testimonianza della carità. Questo è il canale per manifestare l’amore di Dio, attraverso i gesti e non solo con le parole. In un mondo dove assistiamo ad un deterioramento progressivo del significato dei termini, dobbiamo far parlare i gesti, le azioni. Una carità che può e deve avere un orizzonte universale.

Ultimo passo: uscire! Uscire dalla propria famiglia, uscire dalla propria parrocchia, uscire dalla propria diocesi, uscire dalla propria nazione. Uscire tutti! Famiglie, consacrati, sacerdoti e vescovi!

p. Andrea Gamba

missionario saveriano

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