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L'editoriale

Nella trappola di Eschilo

Mi viene qui richiesto di tracciare un sintetico quadro di una situazione internazionale che diviene ogni giorno più complessa e difficile, preferisco prescindere completamente dagli sviluppi sul terreno e dalle speculazioni su quali potranno essere gli sviluppi operativi e tattici della guerra in Ucraina e della crisi Gaza/Israele/Iran.

Mi limito a considerare alcuni dati di fondo, la cui percezione mi sembra importante per comprendere quanto le due crisi siano gravi, destinate a produrre conseguenze di lungo periodo e ad avere ripercussioni molto forti sull’Europa e sull’Occidente.

Per la prima volta a memoria d’uomo ci troviamo di fronte a due conflitti distinti ed entrambi europei. Per l’Ucraina si tratta di vicinanza fisica e dal Friuli si può giungere alla frontiera ucraina in un giorno di automobile. Si tratta anche di impegno politico e di sostegno in materiali, che alle nostre forze armate viene richiesto con sempre maggior insistenza.

Per quel che accade a Gaza e in Terra Santa, più lontane in termini di distanza fisica, siamo tutti profondamente coinvolti dal punto di vista politico, religioso e culturale. Chi di noi non ha amici ebrei o israeliani? Chi non si è sentito coinvolto, e sconvolto, dai massacri del 7 ottobre scorso? Chi non considera la sopravvivenza e la sicurezza di Israele come un bene e un valore primario della stessa costruzione europea? Ma tutti noi siamo oggi col cuore vicini anche al popolo palestinese e alle indicibili sofferenze cui viene sottoposto. Non possiamo certo dirci “equidistanti” tra israeliani e palestinesi, ma forse “equi-vicini” per usare il significativo neologismo coniato da Giulio Andreotti.

Questi due conflitti, tra popoli vicini a noi, hanno una caratteristica peculiare e molto negativa: sono entrambi senza “end game”, senza possibilità che venga raggiunto un compromesso che porti alla pace, senza soluzioni possibili. Possiamo immaginare tregue determinate dall’esaurimento delle forze dei combattenti, possiamo temere allargamenti del conflitto, che trasformi la guerra Russia-Ucraina e il conflitto Israele-Hamas in guerre regionali o continentali, ma non riusciamo a vedere la luce alla fine del tunnel. Non riusciamo a immaginare un momento in cui gli ucraini potranno perdonare i russi per le immani distruzioni e sofferenze imposte al loro paese, né quello in cui gli israeliani potranno perdonare il 7 ottobre e i palestinesi i 33.000 morti, per due terzi civili, causati dalle azioni militari di Tsahal a Gaza.

Nel rapporto Russia Ucraina vi è la negazione della legittimità della controparte e dunque di ogni possibilità di negoziato. In Terra Santa, tanto Hamas che il governo israeliano sostengono ormai senza infingimenti la speculare pretesa di uno Stato palestinese, e di un Israele, che si estendano entrambi dal fiume Giordano al Mare. Pretese incompatibili e che entrambe hanno come presupposto una “pulizia etnica” di proporzioni colossali e bibliche. Soluzioni che lascerebbero entrambe una lunga e profonda scia di sofferenze e di odii destinati a perpetuarsi nelle generazioni future.
L’Europa, di fronte allo “shock” politico e culturale dell’esplosione della crisi a Gaza e nella West Bank ha parlato molto e politicamente concluso assai poco. Nei voti in Assemblea Generale delle Nazioni Unite, i paesi membri dell’Unione Europea si sono divisi in tre tronconi, votando alcuni per il sì, altri per il no ed altri ancora preferendo astenersi.

La Russia ha perso la sciagurata guerra in cui si è lanciata 24 mesi fa. L’ha persa 45 giorni dopo l’invasione, quando è apparso chiaro che Mosca non disponeva di quella che era ritenuta la sua vera capacità di deterrenza e cioè che non era in grado di invadere ogni paese vicino facendo ricorso solo alle proprie forze convenzionali. Ora Svezia e Finlandia nella Nato, una Cina sempre più essenziale per Putin e un’Ucraina a cui l’Europa ha promesso l’ingresso nell’Unione Europea completano un quadro assai oscuro per Mosca. La sconfitta politica e geo-strategica, piena, ha anticipato o è stata indipendente dagli sviluppi sul terreno.

Oggi la Russia è il fantasma di quello che è stata, o ha cercato di essere, e non vi sono possibilità di ripresa, di rinascita, di reintegrazione in un qualsivoglia spazio europeo e occidentale. Ma Mosca continua ad avere il primo arsenale al mondo in termini di testate nucleari, il potere di veto in Consiglio di Sicurezza e presenze in aree del mondo in cui siamo vulnerabili, oltre che un’industria militare che produce di più e meglio che due anni fa.

Forse sarebbe opportuno che l “Occidente Collettivo” iniziasse a concentrare le proprie energie politiche non per condannare i singoli attentati e massacri, ma per pensare al domani e per condizionare aiuti e sostegno politico solo a chi accetterà di discutere sul come uscire dall’infernale pozzo in cui una parte importante di Europa è caduta.

Altrimenti avrà ragione che sostiene che il mondo ha perso anni a discutere della “Trappola di Tucidide” (l’inevitabile conflitto tra la potenza emergente e la potenza dominante: Stati Uniti e Cina, nel nostro caso) e che abbiamo trascurato la “Trappola di Eschilo” (il fatto che la Storia si trasformi in tragedia).

Antonio Zanardi Landi
Ambasciatore dell’Ordine di Malta presso la Santa Sede

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