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Nuove Province? Sì, ma vanno ridisegnate partendo da Aquileia

Siamo in attesa dell”autorizzazione” del Parlamento nazionale alla reintroduzione, nello Statuto regionale, dell’ente di “area vasta”, dopo che le vecchie Province sono state cancellate dall’ordinamento regionale nel 2016. La Regione avrebbe dovuto avviare, prima della procedura di legge costituzionale e sulla base di nuovi studi di carattere amministrativo, geografico e socio-economico, una consultazione popolare per far decidere i cittadini sul modello preferito di ente intermedio. Persa tale occasione, ora, si deve cercare di dare comunque un indirizzo al Parlamento e al Consiglio regionale -che dovrà poi legiferare in materia-, che risponda alle due domande di fondo:

a. è giusto e utile avere un terzo (oltre alla Regione e ai Comuni) livello politico-amministrativo a carattere elettivo?

b. e se sì, che cosa dovrebbe fare questo terzo ente?

L’assetto delle vecchie province era notoriamente squilibrato (molto grande quella di Ud e molto piccola quella di Ts), incoerente (per le rilevanti disomogeneità geografiche interne a quelle di Ud e Pn), di fatto inefficace verso i veri problemi (in quella di Ud, la montagna e la Bassa friulana sono rimasti territori marginali se non del tutto dimenticati e un ecosistema di importanza internazionale come il Tagliamento era solo un confine tra quella di Ud e quella di Pn). Se quell’assetto, venisse riproposto oggi, sarebbe un puro “non sense” etico-politico soprattutto quando i comuni (almeno quelli piccoli) non sono più in grado di affrontare, da soli, i loro compiti istituzionali. La domanda che molti giustamente si pongono è: ma a cosa devono servire le nuove Province? Noi riteniamo che la prospettiva dell’ente intermedio non sia da scartare a priori se viene sviluppata in maniera convincente e spiegata bene ai cittadini. Ci limitiamo, di seguito, ad alcune considerazioni che vogliamo approfondire in un convegno che stiamo organizzando ad Aquileia per il 4 aprile. Va detto, prima di tutto, che, se si vogliono ripristinare province elettive, dobbiamo alzare e di molto il livello del confronto. Non ha, cioè, senso alcuno ripetere il solito vuoto ritornello finto pragmatico che giustificherebbe nuove province elettive con il “dobbiamo dare migliori servizi al territorio” per il semplice fatto che: a. una più efficiente ed efficace erogazione di servizi al territorio non richiede l’elettività (basta un ente non elettivo o, come si dice, di “secondo grado”) e b. molti dei servizi di cui si parla hanno una natura “aziendale” dove il criterio gestionale dominante non è tanto la partecipazione democratica quanto la corretta gestione tecnica del servizio erogato. Quindi, se si vuole un ente elettivo, bisogna porsi questioni di fondo e strategiche per il futuro dell’intera Regione Autonoma FVG.

Per riflettere bene su questa questione, dobbiamo però fare un passo indietro. Il patto politico che ha fondato la Regione nel 1963, mentre confermava le province di Go e Ts, prevedeva il presidente della Regione friulano, il capoluogo a Trieste e l’istituzione di una neo-Provincia di Pordenone separandola da Udine. Tranne che per il capoluogo a Trieste, quel patto si è esaurito da tempo lasciando la Regione senza un “progetto” di futuro. Il dibattito che si è aperto con la proposta -ancora sottovoce- che viene da Aquileia (la costituzione di una neoprovincia Aquileia-Gorizia), ha un valore enorme perché può riempire quel vuoto. Non è vero, infatti, che facendo riferimento a valori storici di un passato lontano, quella proposta sia priva di senso. Anzi, aiuta ad aprire un dibattito per ripensare il senso profondo dell’intera Regione. Infatti, nel momento in cui si va a ritoccare il confine provinciale tra Udine e Gorizia, si ripristina un Friuli Orientale che consente di ricomporre una valida e stabile alleanza tra i vari territori del Friuli (orientale, centrale, montano e occidentale) in un unitario “progetto di regione” con Trieste. E chi se non Aquileia? E quando se non ora?

Aquileia, in altri termini, pone autorevolmente un problema di rappresentatività democratica di territori che fino ad ora non l’avevano nonostante possedessero grandi e, soprattutto, veri valori identitari. La stessa cosa vale per il territorio della montagna che, dalle Province di Udine e poi di Pordenone non ha tratto alcun vantaggio in passato e che giustamente, anche se sempre più flebilmente, reclama una provincia della montagna.

L’istituzione delle nuove Province, pertanto, se si vuole evitare la mera restaurazione o il dibattito vuoto sulle loro finalità, comporta prima di tutto di condividere un sistema di valori metapolitici in direzione di una più riconoscibile Regione centro-europea. Non si abbia paura, dunque, di modificare i confini provinciali e anche di istituire nuove province qualora ci si trovi in presenza di territori che, fino ad ora, hanno avuto debole o assente valorizzazione istituzionale ma che presentano alto e universalmente riconosciuto valore storico, geografico o ambientale. E, per quanto riguarda le competenze e le funzioni, si ricerchi il bandolo della matassa in una radicale devoluzione di competenze, capacità e personale, verso i territori, da parte di una Regione ormai troppo elefantiaca, poco propositiva e sempre più schiacciata su politiche del solo giorno per giorno.

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