Quelle stanze furono scenario di feroci torture e uccisioni. Un luogo tristemente noto per essere stato trasformato, da settembre 1944 a fine aprile 1945, in uno dei più imponenti centri di repressione antipartigiana in Friuli-Venezia Giulia, istituito dai nazisti con lo scopo di azzerare le attività della Resistenza della Bassa Friulana. Alla Caserma Piave di Palmanova – dove operò anche la famigerata “banda Ruggiero” – trovarono la morte decine di persone, moltissime non registrate e, quindi, non identificabili. Secondo i dati emersi in un processo celebrato nel 1946 dalla Corte d’Assise Straordinaria di Udine, a carico della banda c’è l’uccisione di 543 detenuti fra donne e uomini, 231 morti “per tentata fuga”, oltre a 234 altri detenuti trucidati da una seconda banda, chiamata “Borsatti”. Il numero esatto delle vittime non si è mai conosciuto: numerosi resti di corpi umani, a cui non fu possibile assegnare un nome, furono trovati vicino a Porta Aquileia e nei bastioni della città stellata.
Una pagina terribile di storia che deve essere dimenticata. Per questo, la Caserma Piave – sede del Museo regionale della Resistenza – potrebbe essere inserita come proposta nei viaggi della memoria in Italia. La richiesta è arrivata di recente dall’Anpi nazionale, per voce di Natalia Marino, componente del Comitato italiano dell’Associazione partigiani e direttrice di Patria Indipendente che, proprio a Palmanova, davanti alle celle – le cui pareti portano ancora i segni delle sofferenze e violenze lì dentro patite –, ha auspicato «che si possa operare con tutte le istituzioni comunali e regionali e nazionali» per dar vita al progetto. Un “Viaggio della memoria” che colleghi la Caserma Piave alla Risiera di San Sabba a Trieste (campo di concentramento nazista munito di creamatorio le cui vittime stimate sono tra le 3.000 e le 5.000), passando per il campo di Gonars (luogo di prigionia realizzato dal regime fascista nell’autunno del 1941 e utilizzato per internare i civili rastrellati nei territori occupati dall’esercito italiano nell’allora Jugoslavia) e la Caserma Sbaiz di Visco (ha ospitato, tra il febbraio e il settembre del 1943, un campo di concentramento in cui furono reclusi circa 3.000 civili sloveni, croati, serbi e montenegrini), per “raccontare” la “Resistenza di confine”. «Una cinquantina di km appena per scoprire quanto abbiamo vissuto accanto all’ignominia e ci siamo sprofondati. Per poi riscattarci grazie alla Resistenza e alla forza dell’unità antifascista», ha aggiunto Marino.
Da parte sua l’Amministrazione comunale – come hanno evidenziato il sindaco Giuseppe Tellini e l’assessora alla Cultura Silvia Savi – appoggia «la proposta di inserire l’ex caserma nei viaggi nazionali della memoria affinché si restituisca dignità ad un luogo che ha segnato la storia delle nostre terre».
Monika Pascolo