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L'editoriale

Parole che costruiscono

Ci sono parole che aprono mondi e altre che li chiudono. Parole che accolgono e altre che respingono. Ogni giorno, nella nostra quotidianità o nel nostro lavoro, siamo chiamati a fare questa scelta e a chiederci quale traccia vogliamo lasciare nel mondo. Perché le parole costruiscono, ma accade solo se diamo loro la possibilità di farlo.

Non serve un grande palco per esercitare la responsabilità della parola. Basta una conversazione con un amico, un commento sui social, una mail scritta di fretta. Ogni parola è un ponte possibile o un muro che ci separa. Comunicare in modo costruttivo è un atto di presenza e di coraggio. Significa scegliere l’empatia, l’ascolto che va oltre le apparenze, il silenzio che sa accogliere prima di rispondere. Significa chiederci, prima di ogni messaggio, se stiamo creando possibilità o chiusure. Sul lavoro, nelle relazioni personali, nella narrazione dei fatti: tutto è comunicazione e tutto è relazione. Dare un feedback non è solo correggere, ma nutrire. Scrivere un post non è solo informare, ma invitare alla riflessione. Raccontare una storia non è solo condividere un fatto, ma creare un legame con chi legge, con chi ascolta.

E qui il giornalismo costruttivo trova la sua ragione più profonda. Perché raccontare il mondo non significa solo fermarsi a ciò che va male, ma saper riconoscere le crepe da cui può filtrare la luce. È un modo di vedere che non rimuove il dolore, ma lo attraversa per scorgere le risposte, le soluzioni, i tentativi che le persone e le comunità mettono in atto. Perché ciò che raccontiamo come possibile può diventare un orizzonte concreto anche per chi legge e ascolta. Raccontare storie che mostrano come le difficoltà possano essere affrontate è un atto di fiducia nella capacità umana di reagire, di inventare, di resistere. È un modo di dire: “Non siamo soli”. Perché ogni volta che riconosciamo il valore di una soluzione trovata da qualcun altro, stiamo rafforzando la nostra stessa possibilità di farcela. Questo è il potere trasformativo del racconto.

E proprio in questa nostra società e in questo tempo, in cui l’indignazione sembra il riflesso più immediato, cercare storie di soluzioni è un atto rivoluzionario. Non è un lusso, è un bisogno profondo. Perché queste storie nutrono la fiducia, ci ricordano che il cambiamento è sempre possibile, che le azioni di oggi possono trasformare il domani. È un modo per restare umani, per non arrenderci alla disillusione. Ogni comunicazione è un incontro. E ogni incontro merita cura, attenzione, verità. Il giornalismo, come ogni atto comunicativo, è relazione tra chi racconta e chi ascolta o legge, tra chi domanda e chi risponde. Non si tratta solo di parole, ma di senso condiviso. Di scelta. Di responsabilità.

E allora, ogni racconto può diventare un seme. Anche un semplice commento o un messaggio inviato con attenzione possono generare uno spazio di fiducia, aprire nuove strade, costruire legami. La domanda è: quale tipo di mondo vogliamo coltivare?

Forse la risposta più autentica sta proprio nella scelta di raccontare con cura. Perché le storie hanno il potere di cambiare le persone, e le persone, a loro volta, hanno il potere di cambiare le storie del mondo. E in questa circolarità si gioca il nostro impegno quotidiano, il nostro modo di abitare la realtà. La narrazione costruttiva è una rivoluzione silenziosa e potente. È la scelta di credere che le parole possano ancora avvicinare, che possano curare e trasformare. È una scelta di coraggio, di fiducia, di umanità.

Perché ogni parola che crea è un atto di cura. E prendersi cura è l’atto più innovativo che abbiamo a disposizione. Nel giornalismo, nelle relazioni, nella vita di ogni giorno.

Assunta Corbo
Fondatrice di Constructive network

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