Abbonati subito per rimanere sempre aggiornato sulle ultime notizie
Cronaca

Parolin sulla guerra: “Purtroppo la storia non è maestra di vita. Stiamo ripetendo gli errori del passato”

Il Segretario di Stato Vaticano a Udine per la presentazione del libro sul delegato apostolico in Albania, il vescovo friulano mons. Leone G.B. Nigris

“Per l’Ucraina credo che prima di tutto bisogna parlare di pace e non soltanto rimanere prigionieri di una logica di schieramenti e di guerre. Poi bisogna continuare ad offrire spazi di mediazione, come si sta facendo da più parti. E non è soltanto la Santa Sede che si è attivata, ma ci sono tante altre realtà. E poi bisogna cercare di convincere i responsabili dei due Paesi che l’unica strada per costruire qualcosa di solido è quella della pace, mettendo in luce soprattutto i grandi disastri che fa la guerra, le vittime, i feriti, i profughi, le distruzioni”.

L’ha affermato il Segretario di Stato Vaticano, card. Pietro Parolin, rispondendo alle domande dei giornalisti, oggi a Udine, a margine della presentazione del libro “Il dramma dell’Albania nel racconto del delegato apostolico Leone G.B. Nigris” (19481944)” pubblicato dal’Istituto Pio Paschini per la storia della Chiesa in Friuli e curato da Anesti Naci. All’incontro sono intervenuti l’arcivescovo di Udine, mons. Andrea Bruno Mazzocato, e il presidente dell’Istituto Pio Paschini, Cesare Scalon.

Quali le possibilità di pace in Ucraina? “Nutro speranza – ha risposto Parolin -, ma una speranza realista. Cioè dobbiamo continuare ad offrire cammini di pace, attraverso le forme della mediazione, dei buoni uffici, ma mi pare che attualmente non ci sono grandi prospettive che queste offerte siano accettate e siano utilizzate e valorizzate nell’immediato. Tutti devono offrire queste prospettive, la Comunità internazionale, perché tutto il mondo è preoccupato da questa guerra, e quindi tutti al loro livello devono intervenire. Poi ci sono sono iniziative particolari come quelle della Santa Sede, la quale fin dall’inizio ha offerto questa d disponibilità a mediare se fosse necessario, anche solo per facilitare percorsi di pace”.

“Le prime reazioni di Mosca alla prossima visita del cardinale Zuppi – ha aggiunto mi pare siano positive. Loro hanno manifestato fin dall’inizio la disponibilità di riceverlo. Adesso si tratterà di vedere a che livello sarà ricevuto”. “Non potrei prevedere i risultati di questa visita – ha aggiunto -. Però c’è disponibilità ad accoglierlo ed ascoltarlo”. Anche da parte del presidente Putin? “Questo non lo so, non posso fare il profeta”, ha concluso Parolin.

In tema di migrazioni, secondo il cardinale “è la politica che deve dare delle risposte. Noi come Chiesa, e Papa Francesco lo fa, offriamo delle prospettive, dei principi e dei valori che dovrebbero informare e animare le decisioni politiche”. Lo ha detto il Cardinale Pietro Parolin, segretario di stato della Santa Sede oggi a margine di un convegno a Udine. Nonostante “le possibilità di accoglienza siano limitate” Parolin è convinto che con ” una maggiore solidarietà, partendo da un’idea positiva di questo fenomeno, che certo deve essere regolarizzato, potremmo aumentarle di molto”.

Il volume sul vescovo Nigris contiene la relazione che il delegato apostolico friulano fece alla Santa Sede al termine della sua missione in Albania che l’aveva visto vivere la conquista italiana, il regime fascista e l’avvento del comunismo. “L’amara constatazione è che non riusciamo ad imparare dal passato. La storia non è maestra di vita. E se non impariamo dal passato, siamo destinati a ripetere gli errori, che anche ora stiamo ripetendo. La presentazione di questo libro – ha proseguito Parolin – vuol essere anche un segno in questo senso: impariamo da quello che non è andato nel passato per cercare di non ripetere questi errori. E’ interessante leggere questo libro dove il Nigris prevede già quelle che sarebbero state le conseguenze dell’occupazione italiana dell’Albania. Ed è interessante soprattutto perché lui non era un diplomatico, era un sacerdote che si interessava soprattutto di cultura e del rapporto tra scienza e fede, ma questo ci dice che ci sono degli occhi che vedono al di là di una preparazione tecnica che può essere quella di un diplomatico”.

Nel suo intervento, il cardinale ha espresso “gratitudine al clero di questa diocesi per la sua costante e sollecita presenza accanto alla popolazione in tutte le occasioni, liete e meno liete della sua storia”, ma anche al ”Seminario di Udine per i tanti suoi sacerdoti che hanno prestato servizio presso la Santa Sede – e qui ha citato mons. Pio Paschini, e come diplomatici, come Celso Costantini, Luigi Faidutti, Ildebrando Antoniutti, fino a Leone Nigris.

Ma ecco di seguito l’intervento completo del cardinale Parolin.

Quando l’arcivescovo di Udine, S.E. Mons. Andrea Bruno Mazzocato, mi ha chiesto di intervenire alla presentazione del volume di Leone Nigris da poco pubblicato, ho accettato volentieri l’invito non solo per l’occasione che mi si offre di rivedere queste belle terre di confine, ma anche perché mi fornisce l’opportunità di esprimere apprezzamento e gratitudine al clero di questa diocesi per la sua costante e sollecita presenza accanto alla popolazione in tutte le occasioni, liete e meno liete della sua storia. Sono nel ricordo di tutti i giorni tristi del terremoto del 1976, con l’indefesso operato di sacerdoti in tutte le zone colpite, sotto la guida dell’arcivescovo di allora, il compianto Mons. Alfredo Battisti.

La Santa Sede deve poi gratitudine al seminario di Udine, al quale ha largamente attinto per le proprie necessità. Usci da questo seminario Mons. Pio Paschini, che svolse nell’arco della sua vita preziose funzioni al servizio della Chiesa in molteplici attività: nel campo degli studi storici, come rettore dell’Università Lateranense e poi come primo presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche. Mi fa piacere che gli sia stato dedicato l’Istituto al quale si deve anche la recente edizione del copioso epistolario, nel quale compaiono preziose informazioni e giudizi, talora taglienti, ma sempre utili e meritevoli di attenzione, sulle situazioni, gli episodi e gli uomini con i quali ebbe ad interagire, soprattutto a Roma. E non è irrilevante ricordare come nella Costituzione Gaudium et spes la Vita e opere di Galileo di Pio Paschini sia stata l’unica opera, a fronte di quelle della Patristica o dei Documenti pontifici e del Magistero, ad essere ritenuta adatta a corroborare la dichiarazione sulla libertà della scienza.

Anche il servizio diplomatico della Santa Sede si è largamente e fruttuosamente servito del clero di queste terre. Come non tornare con la memoria al difficile periodo interbellico, a Celso Costantini che operò a Pechino, a Ildebrando Antoniutti che prestò servizio in Canada e poi in Spagna prima di essere posto a capo della Congregazione dei religiosi, al goriziano Luigi Faidutti, che in Lituania fu l’artefice del concordato del 1927? Le passioni nazionalistiche di quegli anni postbellici, oggi finalmente dimenticate, consigliarono la Segreteria di Stato di non elevare Faidutti all’episcopato e di mandarlo in Lituania come semplice uditore di nunziature. Ma Faidutti svolse ugualmente il proprio dovere fino in fondo. Nelle sedi difficili in cui questi prelati operarono fornirono un contributo prezioso alla positiva ricollocazione della Chiesa di Roma nel mondo, che si dovette ricostruire quasi dalle fondamenta dopo la tragedia della Prima guerra mondiale, che qui imperversò molto più drammaticamente che nel resto dell’Italia, lasciando tra voi un ricordo che cento anni dopo non si è ancora spento.

È in questo contesto, quasi sospeso tra passato e futuro, tra il vecchio mondo che tramontava e il nuovo mondo che stava faticosamente nascendo, con la memoria ancora ben viva dell’Impero asburgico appena dissolto, che si colloca la figura, meno nota ma tutt’altro che sbiadita, di Leone Nigris (1884-1964), giustamente recuperato e riproposto a noi con l’intelligente iniziativa dell’Istituto

Pio Paschini di pubblicare la lunga memoria da lui scritta dopo il rientro in Italia nel 1945, in seguito alla sua espulsione dall’Albania ad opera del governo comunista appena giunto al potere. Il dattiloscritto è conservato nell’Archivio della Biblioteca del Seminario di Udine e fu da Nigris intitolato Cenni sulle vicende dell’Albania dal 1938 al 1945. Esso corrisponde alla Relazione da lui stilata e consegnata alla Santa Sede alla fine della missione e che si conserva presso gli

Archivi della Segreteria di Stato.

Mi rallegro dell’edizione di questo importante documento, affidata alla cura del Dott. Anesti Naci, albanese, storico dei rapporti fra Italia e Albania nel Novecento, che ha ricevuto il significativo titolo Il dramma dell’Albania nel racconto del delegato apostolico Leone G.B. Nigris (1938-1944).

Il Presidente dell’Istituto Pio Paschini, prof. Cesare Scalon, nella presentazione del volume, mette pienamente in rilievo il valore dello studio e della pubblicazione integrale di un documento che costituisce una fonte essenziale per capire la storia dell’Albania nel corso del secolo XX. “L’interesse dell’edizione sta nel suo carattere di fonte assolutamente originale e nel contempo nella persona stessa del curatore che, da albanese, conosce il proprio popolo, le vicende della sua storia, e che sulla propria pelle ha vissuto i non lontani cambiamenti politici, sociali e culturali della Nazione, come le dinamiche ancora in atto. Nazione tanto vicina, l’Albania, quanto per larghi aspetti storici e culturali ancora da riconoscere e

investigare”

Il dott. Anesti Naci ci offre un’ampia introduzione, necessaria per capire la problematica storiografica e interpretativa del periodo. Più che misurare la maestria diplomatica e il tatto politico di un rappresentante del Papa, attraverso un rapporto ricco di informazioni, vediamo vivere e agire un dinamico e operoso servitore della Chiesa, capace di superare i condizionamenti nazionalistici, per favorire una visione universalistica o, meglio, veramente cattolica delle vicende del suo tempo. La presenza del curatore è determinante per la comprensione dei vari momenti e aspetti del ‘dramma’: i suoi interventi contrappuntistici favoriscono la contestualizzazione del dettato di Nigris su personaggi, avvenimenti, località, forniscono aperture di campo per dare spessore e dilatare accenni e fatti registrati dal delegato apostolico; gli appunti critici calibrano giudizi, impressioni; in sostanza si presentano fondamentali per favorire nel lettore contemporaneo un’adeguata comprensione. Le riflessioni critiche di Naci, supportate da un’aggiornata letteratura, creano come un ponte con quel dramma del passato, che pur nelle differenti prospettive, per gli albanesi e per gli italiani, favorisce un’avvertita e dolente meditazione.

In apertura dell’introduzione Naci precisa: «Per la storiografia Ufficiale’ albanese, soprattutto durante il regime comunista, gli anni della guerra fredda hanno contribuito a generare in Italia un’interpretazione delle vicende albanesi condizionata ideologicamente, in senso imperialista e sciovinista; e questo con riferimento sia alla Prima guerra mondiale – gli storici italiani sono considerati

“inclini generalmente all’abbellimento della politica del governo di Roma verso l’Albania”, al quale attribuiscono l’impegno di ‘civilizzazione’ del popolo albanese e addirittura il ruolo del ‘protettore’ dello Stato albanese” – sia alla Seconda guerra mondiale. Della storiografia italiana di quegli anni si lamentava la mancanza di uno studio serio sull’invasione dell’Albania e soprattutto di una narrazione che si assumesse le responsabilità morali di quanto accaduto. Del tutto diverso è il contesto, sia italiano che albanese, successivo agli anni Novanta, in cui si è assistito a una straordinaria fioritura di indagini e soprattutto riflessioni storiografiche sull’argomento, anche se nella maggior parte dei casi concentrate sugli aspetti diplomatici e militari del periodo in questione, molto meno su quelli sociali e culturali». Ed è appunto in questa prospettiva che l’edizione della relazione di Nigris acquista rilevanza di documento anche in relazione all’aspetto della religione.

Apprendo da questa pubblicazione che Nigris era uomo dedito agli studi scientifici, che aveva operato fattivamente come insegnante nel Seminario di Udine e come organizzatore di cultura in città e nell’intera diocesi. Non si era preparato per servire all’estero, come non vi si era preparato d’altronde neppure Celso Costantini. Ouali siano state le considerazioni che indussero il Santo Padre Pio XI a scegliere questi due uomini per proiettarli nella diplomazia non è chiaro. Forse ulteriori ricerche potrebbero illuminare meglio i motivi di tale scelta, che qualche anno prima aveva riguardato anche lo stesso futuro pontefice, improvvisamente distolto dalla direzione della Biblioteca apostolica vaticana e inviato da Benedetto XV nel 1918 a dirigere la rappresentanza vaticana nella neonata nuova nazione polacca, preparandovi la creazione della nunziatura. Fu quella scelta che spianò la strada alla sua successiva elezione al pontificato – dopo il rientro dalla Polonia e la breve esperienza come arcivescovo di Milano – avvenuta nel 1922, quando assunse appunto il nome di Pio XI.

Tuttavia, le capacità di Nigris non erano sfuggite a Celso Costantini, che nel 1922, quando fu mandato a Pechino in qualità di delegato apostolico, poco dopo essersi insediato chiese di potere avere come coadiutore proprio Leone Nigris.

Questi non accettò l’incarico, probabilmente temendo di non essere in grado di affrontare un paese tanto lontano e tanto diverso, che, oltre tutto, richiedeva un lungo viaggio per mare per arrivarvi. La designazione vaticana passò all’altro friulano, Antoniutti. Ma la Santa Sede non perdette di vista Nigris e alcuni anni più tardi lo individuò come la persona più idonea a reggere la delegazione apostolica in Albania, dove succedette proprio ad Antoniutti, che era stato richiamato dalla Cina e, dopo un anno trascorso in Albania, era stato promosso alla nunziatura del Canada. Dissolto l’Impero ottomano, la Santa Sede istitui una delegazione apostolica il 12 novembre 1920. Dopo il delegato Ernesto Cozzi deceduto nel 1926 si succedettero tre friulani, mons. Giovanni Battista della Pietra ritirato nel 1936, mons. Ildebrando Antoniutti, richiamato a Roma nel luglio 1938, che nei suoi scritti In Albania, annota: «Per conoscere la situazione delle sei Diocesi in cui erano distribuiti i cattolici albanesi, le visitai tutte (viaggiando a cavallo o a piedi sulle impervie strade mulattiere di quel montuoso paese), soffermandomi nelle singole parrocchie ove i sacerdoti, nonostante la grande povertà erano veri padri del popolo.

Trovai da per tutto gente dal carattere fiero e indomito, incallita al lavoro, franca e spontanea, ospitalissima e generosa, che ricordo sempre con ammirazione e stima».

A succedergli come delegato apostolico il papa Pio XI il 18 agosto 1938 nominò il canonico udinese Leone Giovanni Battista Nigris arcivescovo titolare di Filippi con sede a Scutari nel Nord del paese, dove i cattolici erano in maggioranza. L’Albania era allora composta approssimativamente per il 70% da musulmani, per il 20% da cristiani ortodossi, per il 10% da cattolici.

Quanto alle caratteristiche di Nigris il curatore rileva: «Il nuovo delegato apostolico si presenta in questa Albania difficile carico della propria visione del mondo… In verità avrà poco tempo a disposizione per relazionarsi liberamente con i cattolici e in generale con la popolazione… Il giudizio di Nigris su questo popolo nel suo primo anno di permanenza è abbastanza desolante… Nigris intraprende con molto zelo l’attività missionaria, partendo dal proprio vissuto e da una propria idea di comunità cattolica ma spesso ignaro della specificità del luogo, delle dinamiche che reggono la società albanese nel suo complesso, con le differenze enormi, non solo e non tanto quelle scontate fra le varie religioni, fra le diverse regioni del paese, fra classi e ceti, ma anche quelle presenti all’interno dello stesso ristretto terreno cattolico di cui si doveva occupare. Come i suoi predecessori friulani, il delegato avrà i primi attriti proprio dentro il clero cattolico albanese e con la componente più intransigente, identificata soprattutto con l’Ordine dei Francescani… Il nuovo delegato appare subito sprovvisto dell’esperienza diplomatica internazionale di Antoniutti e allo stesso tempo manca della conoscenza della lingua e della cultura del posto, possedute da Della Pietra». Non poche volte Nigris finirà per osservare il paese con gli occhi di chi glielo traduce’.

Il clero locale, oltre a quello secolare facente capo all’arcivescovo che ha sede a Scutari, era composto dai Francescani, tutti albanesi e patrioti, ai quali si aggiungevano i Gesuiti stranieri, in maggioranza italiani, tra cui friulani. E il particolarismo del cattolicesimo albanese emerge dalla relazione del delegato apostolico. Precisa il curatore: «Il principale valore documentale delle pagine risiede nella fotografia che il delegato apostolico fa dell’Albania divenuta italiana … Se la sua osservazione dell’ambiente albanese a lungo andare appare a tratti faziosa, dato che non di rado l’Autore sembra incapace di adottare una prospettiva che non sia religiosa e specificatamente cattolica, o come vedremo, italocentrica’, Nigris risulta però un ottimo osservatore proprio del nuovo ambiente italiano in Albania, con i cui protagonisti avrà un rapporto difficile se non addirittura impossibile».

Siamo nel 1938, nel drammatico momento storico in cui l’Europa stava precipitando verso la guerra. A Nigris toccò dunque un compito difficilissimo, anche perché il governo italiano, che già esercitava una pesante ipoteca sul giovane Stato adriatico, ne stava preparando l’annessione. L’Albania era da poco uscita dalla dominazione ottomana, era pervenuta ad una faticosa indipendenza, guidata da Bej Zog, prima presidente e poi autoproclamatosi re d’Albania, ed era uno dei tasselli della nuova Europa in costruzione, un tassello minore quanto a dimensioni territoriali, ma tutt’altro che irrilevante sotto il profilo geopolitico, data la sua collocazione geografica in un punto strategico, ai confini del mondo balcanico ed ex ottomano e proiettata sul Mare Adriatico. Non entro nei particolari di questa complicata vicenda, che Nigris racconta nella sua memoria esprimendo il proprio personale punto di vista. Un punto di vista inevitabilmente soggettivo, non privo di giudizi su uomini e situazioni che oggi possono suscitare perplessità, o sembrare frutto di imperfetta conoscenza del mondo locale, ma che in ogni caso attestano il suo sforzo di svolgere nel migliore modo possibile l’incarico che gli era stato affidato.

Il carattere attivo di Nigris – annota il curatore – il suo desiderio di riordinare e di riorganizzare l’amministrazione della Chiesa albanese perché sia all’altezza di quella di Roma, è stimolato dalla convinzione che l’Italia debba essere un faro non solo civile, ma anche religioso. Questa visione collide con la politica opportunistica del fascismo che vuole mantenere l’equilibrio religioso esistente. Nigris al pari dell’amministrazione italiana restano sviati dall’incomprensione – precisa il curatore – dell’errato principio di sovra-considerazione che sia religioso il principio identitario proprio degli albanesi, cristiani o mussulmani, e non piuttosto quello della lingua e della nazionalità. Più che giudicare l’ideologia fascista e la sua cultura di sopraffazione sottesa alla colonizzazione e all’imperialismo, Nigris è giudice risentito di quanto grave, perniciosa e devastante sia negli anni Trenta con la presenza italiana l’esportazione della civiltà camorristica fra gli albanesi, il gigantismo della rete clientelare, al punto da ravvedersi dall’aver ingenuamente creduto che il popolo sarebbe stato lusingato di avere «finalmente un regime di giustizia e di ordine dopo il periodo di soprusi e a favore di pochi» tipico del regime monarchico autoctono. Nigris annota tredici errori che causarono la rovina dell’Albania e dell’Italia, con l’annessione del 7 aprile 1939. Annota Nigris che, come al ministro degli esteri Galeazzo Ciano, poi anche al luogotenente Francesco Jacomoni «raccomandai tre cose: Salvaguardate al massimo la autonomia dell’Albania. Non importate il fascismo, che sarebbe interpretato come un’occupazione politica dopo quella militare. State attenti alla corsa degli arrivisti, che pioveranno a sfruttare la situazione. Parve convenire, ma poi avvenne il contrario. E chi faccia con cognizione di causa la diagnosi dei mali, che qui rovinarono l’Albania e l’Italia insieme, riscontrerà i tre virus da me segnalati allora.

Benché non un uomo politico, ma semplice homo veniens de villa, intuii e previdi ciò che i diplomatici di professione non compresero».

L’11 novembre 1939 papa Pio XII lo nominò amministratore apostolico dell’Albania meridionale con sede a Tirana. In questa tradizionale regione ortodossa piuttosto che cattolica dell’Albania – come sottolinea Ines Angeli Murzaku (2009) –

Nigris guidò i missionari cattolici a un approccio meno aggressivo alle conversioni, consigliando l’approccio meno aggressivo della persuasione fornendo modelli di vita virtuosa piuttosto che attraverso la discussione; era sospettoso delle conversioni di massa. Temeva che l’occupazione italiana dell’Albania nel 1939 avrebbe rafforzato le divisioni settarie. Il mandato di Nigris coincideva temporalmente con quello del coetaneo Angelo Giuseppe Roncalli che, proveniente dal decennio in Bulgaria, dal 4 gennaio 1935 al 27 dicembre 1944 fu delegato apostolico in Grecia e in Turchia.

A maggioranza islamica la Turchia, ortodossa la Grecia, mentre in entrambi la percentuale cattolica era ridotta. Non può non ravvisarsi una certa sintonia di intenti tra l’operare di Nigris e di Roncalli, come pure nel loro intervenire a favore degli Ebrei. Tuttavia, in Albania furono gli stessi albanesi a favorirne sopravvivenza

e salvezza.

Nigris rimase sette anni in Albania, dove assistette a tutte le fasi successive: l’occupazione italiana, l’avanzata della resistenza guidata dai comunisti fino alla loro presa del potere nel 1944. L’anno successivo la delegazione vaticana fu ritenuta non gradita e Nigris fu espulso dal Paese. Riparò a Roma, dove fino alla morte, avvenuta nel 1964, esercitò la funzione di segretario della Pia Opera per la

Propagazione della Fede.

A seguito dell’8 settembre il paese fu occupato dalle truppe della Wehrmacht della Germania nazista; il 29 novembre 1944 è la data ufficiale della liberazione da parte dei partigiani comunisti di Enver Hoxha. «Quale atteggiamento avranno i comunisti riguardo alla religione?» – si interroga Nigris – «La massa del popolo è un terreno più propizio che non sembri all’attecchimento delle idee estremiste, perché è gente povera, ignorante, molto incline all’utilitarismo, d’una religiosità più tradizionalista che cosciente per carenza d’istruzione religiosa, che è nulla presso i mussulmani e gli ‘ortodossi’, molto trascurata presso i cattolici». Tuttavia Nigris annota di aver incontrato il primo ministro Hoxha e che: «I miei rapporti colle autorità partigiane sono buoni: a Scutari ne ebbi la visita, che restituii assieme a mons. arcivescovo, e parecchi favori; a Tirana trovai molta deferenza sia da parte delle autorità politiche (capo del Governo e ministro degli Affari esteri) che da parte delle autorità militari»; e a tal proposito il Curatore precisa: “i comunisti assumono inizialmente un atteggiamento diplomatico molto cauto, soprattutto davanti a coloro che avrebbero potuto aiutare il Governo ad ottenere il riconoscimento internazionale” (p.237, n.332). Nigris completò la sua relazione il 1° gennaio 1945.

Il regime comunista al potere nel 1946, interruppe le relazioni diplomatiche con la Santa Sede un anno dopo. Segui una propaganda antireligiosa durata vent’anni. Il culmine della campagna si ebbe nel 1967, quando cessò la libertà di culto nel Paese. Il ritorno alla libertà di professione della fede si è avuto con il grande raduno di fedeli a Scutari il 4 novembre 1990 e la celebrazione della Santa Messa nella cattedrale cattolica. Poco dopo fu concessa la libertà di culto e furono restituite le proprietà e i beni ecclesiastici che erano stati confiscati. Nel 1991, tornata la democrazia, fu possibile riallacciare le relazioni diplomatiche con la

Santa Sede e fu istituita la nunziatura apostolica.

Non è necessario rievocare qui le complesse vicende che portarono l’Albania all’indipendenza. Tuttavia, mentre è doveroso ricordare i legami profondi che la collegavano all’Italia, dove da secoli risiedeva una comunità albanese, oggi riconosciuta anche ecclesialmente, attraverso l’Eparchia di Piana degli Albanesi, immediatamente soggetta alla Santa Sede, non meno interessante è riconoscere la qualità e lo spessore del lungo e intenso legame instaurato da questa vostra Diocesi con la Chiesa di Albania, da quando nell’agosto 1991 la Santa Sede inviò in Albania il friulano Mons. Diego Causero, allora Segretario del Nunzio Apostolico presso il palazzo delle Nazioni a Ginevra, quale delegato per gli affari straordinari, in vista degli accordi con il Governo albanese per l’apertura della nuova Nunziatura Apostolica a Tirana, richiesta dal capo dei Ministri. Mons. Causero rimarrà in veste di Segretario del nuovo Nunzio sino alla fine del 1993. Tutto iniziava tra la fine del 1990 e l’inizio del 1991 con quell’inattesa ondata migratoria, che qui vennero accolti anche presso le parrocchie, a cominciare da quelle di Blessano, Basiliano e Udine. E avvenne che nella canonica di Basiliano fosse ospitato don Frano Illia, venuto in Italia a curarsi dell’asma bronchiale contratta nelle zone paludose durante i lavori forzati a cui era stato condannato dal regime comunista. Sarebbe stato ordinato arcivescovo metropolita di Scutari il 25 aprile 1993. La sua conoscenza farà nascere rapporti di fraterna relazione tra le due Chiese tramite la

Caritas diocesana.

In Albania fu ancora mons. Causero che nell’estate 1992 accolse il parroco di Basiliano don Gianni Fuccaro e il dottor Renzo Peressoni direttore delle farmacie degli Ospedali civili del Friuli, indirizzandoli verso quel programma di interventi che da allora non interrotti neppure dalla pandemia, dette vita a un fluire di numerose e diversificate realizzazioni di estrema necessità, prefabbricati abitativi e polifunzionali, per asili, per chiese, tirati su dai generosi volontari di questa vostra Diocesi, insieme con il fornire arredi liturgici marmorei; interventi che andarono via via cementando solidi rapporti con il popolo friulano nell’ambito del programma “Aiuti all’Albania”. II 25 agosto 1994 l’arcivescovo Alfredo Battisti con una delegazione di friulani incontrava il metropolita mons. Frano Illia e quindi a Tirana il Nunzio Apostolico mons. Ivan Diaz. Ed è così che opere di lapicidi friulani arredarono alcune chiese di Albania: nel 1995 è pavimentato il presbiterio della chiesa di Jubani, completato di altare ambone e tabernacolo; nel 1997 nella chiesa di Elbasan viene posato il pavimento e il Nunzio ne consacra l’altare scolpito a Cividale. La Chiesa albanese ha ricevuto le visite pastorali del santo papa Giovanni

Paolo II nel 1993 e di papa Francesco nel 2014. Il 5 novembre 2016 una bella presenza di friulani insieme con l’arcivescovo Mazzocato e mons. Causero partecipano nella cattedrale di Tirana alla beatificazione dei 38 martiri albanesi.

Credo che questo volume di memorie, opportunamente tratto dagli archivi e presentato al pubblico con il corredo di un accurato apparato critico predisposto dallo studioso albanese Anesti Naci, che anch’io ringrazio per il prezioso lavoro svolto, costituisca un utile contributo alla comprensione degli eventi albanesi di quel periodo. Un contributo che fa onore all’Istituto Pio Paschini, che sarà apprezzato dagli studiosi italiani, ma che sarà utile soprattutto agli storici e analisti albanesi.

Grazie per l’invito e l’attenzione.

Articoli correlati