di Elisa Gasparotto
Ci vuole coraggio per testimoniare il valore della vita e della famiglia nella società attuale che sembra orientata al disconoscimento della maternità, in cui essere “childfree” (termine coniato per definire la scelta di non avere figli) è visto come modello di libertà ed emancipazione. Secondo l’Istat il 22% delle donne tra i 18 e i 45 anni senza figli lo è per scelta personale: non c’entrano le condizioni economiche, di stabilità o il non avere un partner.
Eppure per le generazioni passate, divenire madri era un passaggio naturale, quasi obbligato: un passaggio che chiedeva al mondo rispetto, ed era circondato da una certa sacralità. Penso a quanto mi raccontavano le donne della mia famiglia sulle nascite di un tempo: l’ostetrica che arrivava a casa in bicicletta e tutti coloro che la vedevano passare sapevano che una nuova vita sarebbe arrivata, il rito delle bacinelle d’acqua calda, dei panni tenuti puliti e ordinati per l’evento, delle donne chiamate a raccolta intorno alla partoriente, il brodo caldo e gli atteggiamenti di riguardo riservati alla neomamma nei successivi 40 giorni.
Penso al termine dare alla “luce”, che stava a significare il consegnare qualcosa di prezioso perché solo la luce fa crescere e dà la possibilità di trasformare il mondo intorno a noi.
Oggi invece per coloro che ancora si aprono alla generatività, come ben sappiamo, le cose non sono affatto semplici poiché viviamo in “una società in cui si apprezzano le competenze femminili, ma si pretendono comportamenti maschili (Marina Piazza)” lasciando le neomamme da sole alle prese con il parto, il puerperio, l’accudimento dei figli, il lavoro e la scarsità di servizi per la famiglia.
Questo profondo cambiamento ci deve interrogare perché abbiamo giustamente conferito ai nostri governanti il difficile compito di trovare un equilibrio tra risorse da destinare ai servizi materno infantili quando il numero di mamme e bambini è in drastico calo e aumentano anziani e malati cronici, ma ci dimentichiamo di aver mantenuto il potere di nutrire i valori in cui crediamo, generando la cultura in cui viviamo. Per usare un’espressione del nostro Pontefice “Non ammiratori ma imitatori di Gesù”, siamo testimoni coraggiosi del miracolo della vita soprattutto con i ragazzi e le ragazze, con ostinata grazia anche controcorrente… E nello scorrere dei giorni presi da tante fatiche rammentiamoci che i nostri gesti, le nostre parole sono sempre testimonianza per i ragazzi che l’essere genitori è una ricchezza…o un fastidio. A ciascuno il coraggio della propria verità!