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Opinioni

Prendere sul serio le prove Invalsi. Non sono un gioco a punti

Secondo i dati emersi dagli ultimi test Invalsi gli studenti con scarse competenze in italiano, al termine della terza media sono il 36,5%, in peggioramento di tre punti rispetto alle precedenti rilevazioni. In matematica il dato sale al 37,1%, con un peggioramento dell’1,5%. Al termine della quinta superiore gli studenti carenti in italiano sono il 29,8%; in matematica il 32,8%. Come valutare i dati Invalsi? Sulla questione interviene Stefano Stefanel, già dirigente del Liceo Marinelli di Udine.

I risultati Invalsi generano sempre nelle scuole una certa apprensione e commenti per lo più non pertinenti relativi a miglioramenti o peggioramenti su argomenti sicuramente non chiari all’opinione pubblica, ma spesso neppure agli addetti ai lavori. Per capire bene la questione bisogna partire dal nome: Invalsi è l’acronimo di Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema educativo di istruzione e di formazione, cioè è un ente di ricerca con personalità giuridica di emanazione statale che riceve dal Ministero dell’istruzione e del Merito priorità strategiche utili a programmare la propria attività.  L’azione di ricerca è di tipo censuario, ciò vuol dire che non vengono valutati attraverso prove specifiche tutti gli studenti tutti gli anni, ma solo una parte consistente degli studenti, che costituisce il campione dell’analisi.

Quindi l’Invalsi non “valuta le scuole” e non dice se una scuola sta procedendo bene o male nel suo percorso di formazione. L’Invalsi misura delle prestazioni e fornisce un’analisi di queste prestazioni che fotografano la situazione del sistema scolastico italiano. Per fare questo ovviamente deve proporre alle scuole delle “prove” che sono state strutturate non per “interrogare” gli studenti, ma per valutare il livello degli studenti e le differenze statistiche tra i vari livelli. Ad esempio, nelle prove Invalsi sono inserite domande difficili, ambigue o di argomenti diversi da quelli affrontati dagli studenti durante l’anno scolastico per capire quale percentuale di popolazione ha un livello molto alto di competenze, che si possono certificare solo attraverso test selettivi. Quindi l’Invalsi dice sempre la verità, ma questa verità va contestualizzata, analizzata e capita, non semplicemente commentata come se fosse la classifica di un campionato sportivo (cosa che invece puntualmente avviene).

L’Invalsi misura anche il valore aggiunto delle scuole (se uno studente arriva in una scuola ad un livello e esce con lo stesso livello il valore aggiunto è zero), ma pure gli arretramenti, gli scarti, le situazioni di criticità. Ed è quello che viene fatto emergere sulla nostra regione. Sono indagini molto interessanti in senso generale su base territoriale ampia (regione, provincia, nord, centro, sud, isole), molto complesse da analizzare su scuole (che al loro interno hanno ad esempio classi su livelli molto diversi), poco interessanti se tarate sul singolo studente, che è più interessato a performance di altro genere (compiti in classe, interrogazioni). Poiché le prove Invalsi sono una valutazione censuaria periodica (che avviene tutti gli anni per parti di popolazione scolastica diversa) è importante comprenderne lo scopo che è quello di valutare il sistema scolastico italiano, non un solo studente, una sola classe, una sola scuola. Quindi è del tutto inutile essere orgogliosi e pubblicare post di giubilo se le prove sono andate bene, così come nasconderle o maledire l’Invalsi se sono andate male. Tutto va analizzato e contestualizzato.

Poiché l’Invalsi è una cosa seria le scuole dovrebbero cercare di mettere i propri studenti in condizione di fornire risultati che fotografino perfettamente la situazione in atto. Pur testando anche conoscenze, l’Invalsi si occupa di competenze, cioè di ciò che uno studente sa mettere in atto e traslare da contesto a contesto dopo averlo imparato. E il dato che fornisce è interessante e deve essere analizzato (cosa che spesso non viene fatta). Se si vuole essere certi che gli studenti rispondano al loro massimo livello alle domande delle prove Invalsi non serve a nulla comprare i libri con i test dei vecchi Invalsi o cercare come si risponde a prove pensate per definire livelli e non per testare conoscenze, cercando un “teaching to the test” (studiare per rispondere ai test, non per imparare qualcosa), che non vale nulla da nessuna parte del mondo. È necessario prendere sul serio le prove Invalsi e questi elementi possono aiutare: i giorni delle prove Invalsi sospendere qualunque attività didattica e far concentrare gli studenti sulle prove; nella settimana delle prove Invalsi non dare compiti per casa, in modo che gli studenti abbiano una testa aperta alle prove; nei giorni delle prove non programmare gite, viaggi, uscite; lavorare sull’analisi e comprensione del testo avendo la certezza che lo studente abbia compreso il modello della prova; analizzare prove degli anni precedenti spiegando le modalità di risposta corretta; diminuire le prove tradizionali (compiti e interrogazioni) e aumentare il colloquio e la competenza di ricerca di parole chiave: le risposte ai test sono il punto finale di un ragionamento, non un quiz mnemonico; capire dai risultati dell’anno precedente la differenza tra quanto dicono le prove INVALSI e quanto dice la valutazione scolastica.

L’Invalsi valuta il sistema e per farlo rileva dati dagli studenti impegnati in una performance. Il problema grave è che in questi anni l’Invalsi non ha rilevato un miglioramento del sistema, ma al massimo una sua staticità nazionale (e un peggioramento a livello della nostra regione, cosa assai anomala).

Stefano Stefanel

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