Dal Vangelo secondo Marco (Mc 9,2-10)
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
Parola del Signore.
Commento al Vangelo del 25 febbraio, II Domenica di Quaresima
A cura di don Alberto Paschini
Nel Vangelo di questa domenica Gesù invita Pietro, Giacomo e Giovanni a seguirlo, salendo sul monte. Là, nel luogo dove il cielo e la terra sono più vicini, circondati da un paesaggio mozzafiato e da una natura rigogliosa, i tre apostoli contemplano con gli occhi del corpo la divinità gloriosa del Figlio di Dio, in Gesù («Questi è il Figlio mio, l’amato»). Sembra quasi che quel luogo sia stato preparato dal Signore in tutta la sua ammirevole ma sempre imperfetta bellezza per poter offrire all’uomo una piena e perfetta esperienza di Bellezza.
Accostandoci a questo mistero ricordiamo le parole che si trovano nel romanzo di Dostoevskij L’idiota: “La bellezza salverà il mondo”. Ippolit, ateo, malato e vicino alla morte, si rivolge al principe Myskin chiedendo: «È vero, principe, che voi diceste un giorno che il mondo lo salverà la bellezza? (…) Quale bellezza salverà il mondo?». Il principe non risponde alla domanda. Potremmo dire che la risposta, lasciata tragicamente aperta, ci viene data proprio dal Vangelo della trasfigurazione. Data o, meglio, anticipata. Non dobbiamo, infatti, lasciarci ingannare: la trasfigurazione non è la meta della missione del Salvatore. Per quanto sia stato un momento da togliere il fiato, si tratta solo di una tappa. Pietro, Giacomo e Giovanni non scendono dal monte con tutte le domande, che custodivano nel cuore, risolte. All’udire l’imperativo di Gesù «ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti» il cuore e la mente degli apostoli resta confusa: «essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti». Scendere dal monte, dunque, non corrisponde all’aver trovato il segreto della vita e della felicità, ma porta a generare nuove domande: vitali, impellenti, di quelle per cui non ci si dà pace finché non si trova una risposta. Ma se la bellezza che salverà il mondo non è la gloria della trasfigurazione, allora qual è? Dove la possiamo trovare?
L’indizio per continuare la ricerca ci viene offerto da Gesù in persona. Pietro, Giovanni e Giacomo avrebbero potuto raccontare agli altri apostoli e ai discepoli della trasfigurazione solo «dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti». Perché? Perché sarebbe impossibile riconoscere in Gesù la presenza viva di Dio che si fa vicino all’umanità senza aver vissuto, oltre all’esperienza della trasfigurazione, anche l’esperienza della croce e della risurrezione. Infatti il Vangelo di oggi non si conclude veramente, ma lascia aperta la domanda nel cuore degli apostoli. E per l’evangelista Marco la risposta viene data diversi capitoli dopo quando, sotto la croce, «il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39). Il card. Carlo Maria Martini, commentando questa pagina evangelica, afferma: «La morte e resurrezione del Figlio dell’uomo sono dunque il luogo in cui la Trinità si rivela definitivamente al mondo come amore che salva: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Gv 4,10)».
Qual è dunque la Bellezza che salva il mondo? La bellezza dell’amore che si dona, con gratuità e senza dare nulla in cambio, per tutti. A questa meta, rinvigoriti dalla tappa quaresimale di oggi, siamo chiamati a impegnarci perché la nostra vita sia modellata sullo stampo dell’amore di Cristo.
don Alberto Paschini