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Attualità

Regeni, le verità e i dubbi di Renzi e Minniti

Prima udienza, ieri a Roma, del processo a carico quattro 007 egiziani accusati di aver rapito, torturato e ucciso il ricercatore friulano Giulio Regeni. «Io ho avuto 3 o 4 telefonate con Al Sisi tra febbraio e marzo del 2016 – ha dichiarato l’ex premier Matteo Renzi -. La prima telefonata subito dopo la notizia ufficiale della morte e gli dissi che saremmo andati fino in fondo e che era una vicenda inaccettabile e chiedemmo la totale collaborazione ma non sono mai entrato nel merito delle indagini. Lui mi disse che da padre capiva il dolore dei genitori e della famiglia». «La rilevanza politica – ha aggiunto Renzi – a me viene posta il 31 gennaio». «Riguardo agli inglesi, ha continuato Renzi, chiesi all’allora primo ministro Teresa May massima collaborazione. L’Italia non poteva fare di più, non abbiamo messo le relazioni diplomatiche davanti alla morte di un cittadino italiano ed è chiaro che la morte di Giulio Regeni è avvenuta per mano egiziana».

«Noi mettemmo in chiaro che non avremmo accettato azioni di depistaggio – ha affermato Marco Minniti, all’epoca dei fatti Sottosegretario all’autorità delegata, sentito come testimone nel processo  –, un modo per coprire i Servizi egiziani. Fui avvisato dopo alcuni giorni perché in Egitto sono frequenti i “fermi non ufficiali” di cittadini stranieri. Il mio convincimento è che sono stati gli apparati egiziani ad uccidere Giulio e gli imputati sono i responsabili».

«È emerso con chiarezza che l’Egitto non è un Paese sicuro, neanche per gli italiani – ha commentato l’avvocata Alessandra Ballerini, legale dei genitori di Giulio Regeni –. Riteniamo grave e doloroso il fatto che una comunicazione dell’ambasciata italiana del 28 gennaio in cui si chiedeva la massima attenzione sia rimasta evidentemente su qualche tavolo e non abbia consentito di attivare tutte le forze che servivano per salvare Giulio».

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