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ChiesaGiubileo 2025

Speranza oltre il male commesso. Don Marco Pozza: «Dio ha posto in tutti una particella di bene»

Chi durante questo Anno Santo si reca a Roma può varcare la soglia di quattro Porte Sante nelle altrettante Basiliche Papali. Di Porte Sante ce n’è una quinta, sempre nella città di Pietro e Paolo, che ha a che fare con un’esperienza vissuta in prima persona dai due apostoli e, ancora oggi, è crocevia di sdegno e misericordia. La quinta Porta Santa è in un carcere, Rebibbia, voluta e aperta da Papa Francesco il 26 dicembre scorso. «In questi 12 anni di pontificato Francesco ci ha fatto capire che il carcere è uno di quei luoghi in cui si gioca la partita della salvezza». Don Marco Pozza è un sacerdote padovano noto per le sue trasmissioni televisive (su Tv2000, Rai, Nove, ecc.) che nella città di Sant’Antonio ha il mandato di stare accanto alle persone recluse nel carcere Due Palazzi. Recentemente è stato ospite di una delle serate della settimana giubilare del “Cristo Nero” a Codroipo.

Don Pozza, partiamo proprio da Rebibbia: come commenta questa scelta del Santo Padre?

«Mai un papa aveva fatto una cosa del genere. Eppure nel Vangelo c’è la figura del “buon ladrone” che ci incuriosisce e ci infastidisce, un personaggio molto legato al carcere perché ci testimonia come dove abbonda il peccato sovrabbonda la grazia di Dio.»

Lei conosce personalmente Papa Francesco. Cosa le chiedono le persone del “Due Palazzi” per il Papa?

«I “ragazzi” pregano molto per lui. Una volta ho trovato un biglietto sull’altare della nostra cappella, con su scritto “Papa Francesco non mollare: sei rimasto solo tu a farci da portavoce”. Hanno bisogno di lui.»

Don Marco Pozza

Su tutti, due episodi hanno fatto scalpore: il funerale di Donato Bilancia, autore di 17 omicidi, che lei ha presieduto, e l’aver accompagnato un uomo reo di femminicidio al funerale di Giulia Cecchettin. Perché stare vicino a chi ha sbagliato crea questo scalpore?

«Non abbiamo ancora capito la portata dell’incontro rivoluzionario di Gesù quando, al banco delle imposte, chiamò Matteo: la gente si scandalizzò anche allora. Gesù disse che “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati”. Un pluriomicida e un reo di femminicidio? Questa è una definizione parziale perché, per quanto grande fosse il male da essi compiuto, nessuno di loro ha espresso in quei gesti la ricchezza di cui è capace. I cristiani dovrebbero ostinarsi a cercare in tutti quella particella di bene che Dio ha posto in loro. Donato Bilancia, che definisco “mio fratello Caino”, mi ha preso per mano e mi ha portato nell’inferno del suo male per farmi capire come Dio, stupendoci e facendoci arrabbiare, talvolta dia appuntamento all’uomo proprio nel momento del male.»

Torniamo al Giubileo: c’è un’opera di misericordia che invita a “visitare i carcerati”. Che speranza nasce dal tenere nel cuore chi si trova in carcere?

«Nutro la speranza cristiana, ma non ho grandi speranze negli uomini. Mi aspetto però che qualcuno possa conoscere la realtà carceraria perché in quel momento si può aprire una breccia e si può intuire la speranza che sta oltre all’errore e all’identificazione con il male commesso.»

Perché secondo lei il Papa ha voluto dedicare un Giubileo alla virtù della speranza?

«Come disse Vaclav Havel, la speranza non è attendere che qualcosa vada in un certo modo, ma credere che tutto abbia un significato. Una persona può sopportare la fatica più dura a patto che ne scopra un significato. Per me sperare è proprio questo.»

Giovanni Lesa

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