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Uomini violenti, cambiare si può. Se ne parla alla Spes

«È stata solo una spinta», «Solo uno schiaffo». «Era la prima volta». All’inizio quasi sempre minimizzano e cercano di giustificare il loro comportamento. Spesso incolpano la donna – «È lei che mi fa innervosire», «È lei che ha cominciato» – o una particolare condizione – «Avevo alzato il gomito» – come valesse da giustificazione. Poi però nella maggior parte dei casi si rendono conto di quanto sia grave il loro comportamento. L’esperienza dello psichiatra Calogero Anzallo con gli uomini autori di violenza è significativa: quaranta casi seguiti e solo uno di loro, in quattro anni, ha manifestato una recidiva. Si tratta del progetto S.A.Vi per il trattamento psicoeducativo di autori di violenza nelle relazioni affettive, istituito nel 2019 all’interno dell’Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale (con sportelli a Udine e Palmanova) e del quale per quattro anni Anzallo è stato responsabile. Lo psichiatra, da poco nominato primario del Centro di salute mentale Domio di Trieste, sarà ospite lunedì 27 gennaio alle 18.15 della Spes, la Scuola di politica ed etica sociale dell’Arcidiocesi, nella consueta sede di Palazzo di Toppo, a Udine (“Cambiare è davvero possibile? Lavorare con gli uomini che agiscono violenza”). La Vita Cattolica, nell’edizione del 9 gennaio 2025, ha pubblicato un’ampia intervista con il dott. Anzallo a cura di Valentina Zanella. Qui un estratto.

Dott. Anzallo, lei è anche coordinatore del Servizio di salute mentale della casa circondariale di Udine, dalla sua esperienza per chi agisce violenza cambiare è possibile?
«Sicuramente, perché agire violenza è sempre frutto di una decisione consapevole. La violenza ti fa prendere una scorciatoia, fa sì che tu possa risolvere un conflitto a tuo favore senza articolarlo, ma sei sempre tu a decidere di farlo, anche da ubriaco o sotto l’effetto di sostanze».

Quanti riescono a cambiare?
«Tra le quaranta persone che hanno frequentato i nostri corsi solo una ha manifestato una recidiva, ma non si tratta di numeri significativi, perché il campione è ancora ridotto. I dati internazionali ci dicono che tra coloro che partecipano a gruppi psicoeducativi le recidive nei comportamenti violenti si riducono nel 36% dei casi. Quindi c’è ancora molto da fare, ma un cammino è avviato».

Cosa porta un uomo ad essere violento?
«Il modello culturale patriarcale dal quale proveniamo ha legittimato per millenni l’uomo ad agire violenza e ad essere giustificato per le violenze agite; fino al 1981 esisteva il delitto d’onore e il “buon padre di famiglia” ha potuto a lungo educare i figli – e la moglie – anche con correzioni corporali. Adesso questo modello è stato messo in discussione».

Come opera lo sportello S.A.Vi?
«Dal 2019 abbiamo condotto quattro gruppi di circa 10 uomini e abbiamo una lista d’attesa di oltre 30 uomini; il progetto ha inoltre attivato una convenzione con l’Ufficio esecuzione penale esterna di Udine (Uepe) e con la casa circondariale stessa dove dovremmo iniziare a fare dei gruppi per persone che hanno commesso reati di maltrattamento in famiglia. Il percorso prevede da tre a sei incontri singoli, per valutare la motivazione, e in seguito l’inserimento nei gruppi psicoeducativi trattamentali, con un incontro a settimana per trenta settimane: in tutto 8-9 mesi di corso in cui diamo l’abc per destrutturare l’agito violento e cominciare a far pensare all’uomo che può cambiare».

La società in termini di violenza sta peggiorando?
«Io credo che la violenza ci sia sempre stata, cercare un modo per risolvere i conflitti senza prevaricare l’altro è un grande tema culturale, ci vorranno generazioni per poterlo affrontare, ma è importante iniziare. Io credo che adesso le condizioni siano mature per poterlo fare».

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