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Uso e abuso della rete. Educare alla “saggezza digitale”, il convegno ecclesiale

Attenzione, responsabilità, conoscenza, educazione, dialogo, saggezza digitale… sono solo alcuni dei termini che sono risuonati durante il primo convegno promosso e organizzato dal Servizio regionale per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili (SRTM) della regione ecclesiastica Triveneto, sul tema Uso e abuso della rete. Prevenire e tutelare: quali strategie educative?, svoltosi sabato 12 ottobre 2024, al Centro Card. Urbani di Zelarino (Ve).

Mons. Moraglia: specifiche attenzioni e strategie educative nell’ambito digitale

Un convegno doppiamente rilevante come ha segnalato il patriarca di Venezia, presidente della CET, mons. Francesco Moraglia nel saluto ad apertura dei lavori pomeridiani: «da un lato, infatti, raccoglie e rilancia l’impegno attento che le nostre Diocesi, in sintonia con il cammino della Chiesa italiana, stanno portando avanti con serietà nella formazione specifica degli operatori pastorali in tema di tutela minori e persone vulnerabili, nella raccolta e redazione di protocolli e buone prassi e, specialmente, nel prevenire abusi tutelando le persone e verificando con cura i casi», e dall’altro ci permette di entrare «in una dimensione che riguarda l’oggi di tutti ma soprattutto dei nostri giovani in modo sempre più pervasivo. Siamo nell’ambito digitale, che tocca sempre più anche la fascia della prima adolescenza (ma non solo) e che richiede, quindi, specifiche attenzioni e strategie educative da parte degli adulti, dei genitori, delle famiglie, del mondo della scuola e dello sport e – per quanto ci riguarda – degli educatori, dei catechisti, degli animatori e di tutti coloro che sono, in qualche misura, coinvolti e interessati nei vari ambiti ecclesiali (parrocchiali, associativi ecc.)».

Il convegno è stato aperto da mons. Pierantonio Pavanello, vescovo di Adria-Rovigo, e vescovo delegato della CET per il Servizio regionale tutela minori e persone vulnerabili (SRTM), che ha sottolineato l’impegno di questi cinque anni di lavoro (il SRTM è attivo dall’ottobre 2019), la grande responsabilità che tutti abbiamo nei confronti dei minori e del loro futuro, e la necessità di un’alleanza tra tutte le forze della società per tutelare le persone vulnerabili.

Nomofobia… a che bisogno risponde?

Il convegno ha dato poi la parola a tre autorevoli interventi di esperti che hanno approfondito diversi aspetti dell’uso e abuso della rete. Affrontare queste tematiche «it’s complicated» ha chiosato don Giovanni Fasoli, docente di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione, Pedagogia della realtà virtuale, Cyber-psicologia e new-media communication allo IUSVE e di Tecnologie immersive per l’educazione e la formazione e di Psicologia e psicopatologia digitale allo IUSTO, intervenuto sul tema “Stili di vita digitali. Aspetti psico-patologici“. L’utilizzo dello smartphone – ha chiarito Fasoli – ha modificato la sfera delle interazioni sociali e ci sono segnali a cui dobbiamo prestare attenzione e che rivelano soglie patologiche specie nelle giovani generazioni — iperconnesse – a partire da quella che in termini tecnici si chiama “nomophobia” (no mobile phobia) ossia proprio la paura di non essere connesso di rimanere senza telefono. «Nella persona con nomofobia s’instaura la sensazione di “perdersi qualche cosa” se non controlla costantemente il cellulare; il rischio è che si inneschi un meccanismo di dipendenza nell’infodemia contemporanea… ma la vera domanda evolutiva è: a che bisogno risponde?». Non è quindi questione di demonizzare, ma di intercettare i bisogni che si nascondono dietro questi comportamenti e che spesso parlano della  “paura di essere tagliati fuori” e del bisogno di riconoscimento.

L’involuzione del mondo digitale: meno dialogo, incapacità espressiva, solitudine. Famiglia la “grande assente”

A mettere in guardia sul rischio involutivo che l’universo tecnologico sta innescando è stato il prof. Mauro Berti, già responsabile dell’Ufficio Indagini Pedofilia del COSC (centro operativo per la sicurezza cibernetica) della Polizia di Stato di Trento e attualmente docente di Cyber Crime al corso di Laurea in Psicologia clinico-giuridica e al Master Universitario in Criminologia all’Università IUSVE di Venezia. «L’era digitale delle comunicazioni sta influendo, invece, in modo determinante a ridurre il dialogo (in famiglia e nella società), la conoscenza delle parole (portando a una diminuzione della capacità espressiva di pensieri e sentimenti e ci sta portando a una solitudine digitale». Inoltre cambiano i modelli relazionali, spesso prediligendo le interazioni digitali, con il rischio di comportamenti che possono sfociare in comportamenti delittuosi, dal cyberbullismo al sexting. «Il primo soggetto chiamato in campo in questa sfida difficile che ha il fine di far diventare i nostri giovani consapevoli cittadini di internet e in grado di vivere in armonia in questa nuova dimensione, è la famiglia – ha sottolineato Berti – che ha il ruolo educativo principale, ma che rischia di essere a volte “il grande assente”».

Né smanettoni né incapaci, ma “saggi digitali”

Di “saggezza digitale” ha parlato invece il prof. Marco Rondonotti, docente di tecnologie dell’istruzione dell’apprendimento all’Università Cattolica, cercando una mediazione tra chi sostiene di ritardare l’utilizzo del digitale nei bambini e chi invece ne vede uno strumento che facilita l’apprendimento. «Essere “saggi digitali” significa usare la tecnologia in modo creativo e risolutivo, evitando la polarizzazione tra “smanettoni” (bravi tecnicamente ma poco riflessivi() e “stupidi digitali” (incapaci o rifiutanti la tecnologia)».

La sfida oggi non è il controllo o il rifiuto dello strumento digitale, ma saper «gestire la connessione da un punto di vista culturale e relazionale. Le famiglie devono gestire la connessione digitale non solo come accesso alle tecnologie, ma come opportunità culturale e relazionale. La vera sfida è integrare il digitale nella vita quotidiana in modo che arricchisca le connessioni umane, senza compromettere il legame emotivo e familiare». È importante mettersi in ascolto delle narrazioni digitali in famiglia e a scuola per capire come funziona il mondo: cosa stai imparando? Come stai imparando? Per che cosa impari? Cosa hai imparato? Ci sono altre aree dove puoi imparare. C’è una circolarità di vita in presenza e vita virtuale. Nell’ambito educativo ci sono tre regole da osservare: 1) promuovere e favorire un’alternanza di stimoli, 2) l’educatore dev’essere presente e accompagnare il minore per capire cosa sta succedendo, 3) imparare a gestire l’autoregolazione che ha a che fare con la negoziazione per trovare la strada più adeguata che si esprime in regole accordate. Infine, il relatore suggerisce tre piste di riflessione per le buone pratiche di saggezza digitale: la riflessione critica sui consumi mediali; la stimolazione della creatività attraverso il digitale e la costruzione di una comunità di pratica tra educatori per garantire un utilizzo efficace del digitale in ambito educativo.

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