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Commento al Vangelo

«Vedremo se porterà frutti; se no lo taglierai»

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 13, 1-9

In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.
O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Parola del Signore.

Commento al Vangelo del 23 marzo 2025,
III domenica di Quaresima

A cura di don Nicola Zignin

Il Vangelo di questa domenica può essere suddiviso in due parti. La prima narra due fatti di cronaca nera che arrivano alle orecchie di Gesù: la repressione brutale da parte di Pilato di un gruppo di rivoltosi nel tempio, probabilmente zeloti, cioè terroristi israeliani dell’epoca che con armi e attentati cercavano di liberare Israele dall’occupazione romana, e una tragedia avvenuta sul lavoro, con 18 persone tra operai e passanti investiti e uccisi dal crollo di una torre. La mentalità dell’epoca portava a vedere una qualche colpa in chi incorreva in tali episodi, con un modo di ragionare che poteva riassumersi così: “Se gli è accaduto questo, qualcosa di male devono avere pur fatto”, colpa da cui si sentivano esentati i superstiti.

Gesù invece invita a cambiare prospettiva, affermando che le vittime non avevano colpa diversa dai superstiti, e questo significa due cose. La prima è che in qualche maniera siamo tutti sanguinari, come dice Gesù in un altro brano: «Fu detto: non ucciderai», e poi aggiunge che chi si adira con il proprio fratello è già un omicida per via del suo rancore (Mt 5,21-22). La seconda è che il tempo per convertirsi è breve, perché può interrompersi all’improvviso e questo vale per tutti, nessuno escluso. Dirà infatti Gesù: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15).

In poche parole la prima parte del Vangelo ci pone questa domanda: quando senti di una guerra, di un omicidio, di una violenza, pensi che sia solo opera degli altri e di esserne esente? Oppure cogli l’occasione per vedere la violenza che abita nel tuo cuore, che magari non sfocia in un atto corporale solo per opportunismo o per codardia, ma, pur celata, esce in altre forme, quali il giudizio, il pettegolezzo, la maldicenza, l’indifferenza, l’invidia, la gelosia, il rancore? E quando senti di una disgrazia, di un incidente, di una malattia mortale magari di una persona di giovane età, pensi che siano cose che accadono solo agli altri o pensi che il tempo può diventare subito brevissimo anche per te? Allora perché rimandare la conversione dall’odio celato nel nostro cuore? E perché continuare a vivere rimandando il bene che possiamo fare oggi pensando che nulla e nessuno potrà interrompere i nostri anni, come fossimo padroni del tempo, quando invece possiamo disporre, nei nostri limiti, solo dell’attimo che stiamo vivendo?

La presa di coscienza della violenza celata nel nostro cuore e l’enorme tempo perso per la sua conversione, tale da incancrenirla, potrebbe schiacciarci con il suo peso, ma qui ci soccorre la seconda parte del Vangelo, dove Gesù, che tutto può, si offre come Colui che può prendersi cura del nostro cuore per guarirlo e rianimarlo e chiede al Padre ancora un tempo, un anno per prendersene cura: «Lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime», dice a proposito di un albero sterile. È l’anno della misericordia e dei miracoli di conversione inattesi e insperati, l’anno del Giubileo. Anno però da cogliere, non da sprecare, perché alla luce di quanto detto sopra potrebbe essere l’ultima occasione, l’ultimo rimedio: «Se no, lo taglierai».
Riecheggiano le parole di San Paolo: «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5,20).
don Nicola Zignin

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