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Appuntamenti

Vera e Nino, un amore nato a Buchjenwald e continuato in Friuli

Anche in campo di concentramento può sbocciare un amore. È quanto racconta “Storia (di) Vera”, una lettura teatralizzata che gli attori friulani Flavia Valoppi e Claudio Moretti porteranno in scena in varie località del Friuli – ed anche in molte scuole – in occasione del Giorno della Memoria 2025.
La prima data è venerdì 24 gennaio alle Scuole Medie di Rivignano (ore 10). Si proseguirà sabato 25 gennaio nella sala consiliare di Varmo in una serata organizzata dall’Ute di Rivignano-Teor Varmo; lunedì 27 gennaio, alle ore 11, all’Istituto comprensivo di Mortegliano, e alle 20.30, nella sala teatrale di Lavariano; martedì 28 gennaio, nella sala consiliare di Sedegliano alle ore 20.30.
Si tratta di un adattamento del libro “Storie di Vera frute a Kijev, fantate a Buchenwald, femine in Friûl”, scritto nel 2004 da Ivano Urli raccogliendo la testimonianza di Vera Chmaruk, una donna di origine ucraina, che da più di cinquant’anni viveva a Lestizza – «la russa», come veniva chiamata –, moglie di un friulano del paese: Nino Malin. I due si erano conosciuti nel campo di concentramento di Buchenwald, dove entrambi erano detenuti – Nino era un soldato italiano prigioniero, Vera una dei tanti giovani che i nazisti deportarono – e dove si innamorarono. Un amore sbocciato nei momenti di lavoro agricolo a cui entrambi, come tutti i detenuti, erano costretti. Nel 1945, quando i campi di concentramento furono liberati con l’arrivo dell’Armata Rossa, Nino e Vera intrapresero la strada verso il Friuli. Si sposarono in Polonia e poi arrivarono a Lestizza dove vissero tutta la vita ed ebbero due figli.
«Era nostra intenzione – spiegano Valoppi e Moretti – trovare una storia locale che parlasse dell’esperienza indicibile della deportazione, una storia della nostra gente, del nostro vicino di casa, del nostro paese e l’abbiamo trovata a Lestizza, scritta dalla penna piena di ironia ed estro di Ivano Urli. Dal suo libro abbiamo tratto i momenti salienti, lo svolgersi della vita nel campo di detenzione e il fato che l’ha condotta in Friuli accanto a Nino. Un racconto come tanti, di umiliazione, sopraffazione, ma anche di riscatto e di viva memoria, che riproponiamo a due voci e in due lingue, friulano e italiano, così come accade nel quotidiano parlare, mescolate e interconnesse».
A rintracciare il testo, casualmente, è stata proprio Flavia, nella biblioteca di Codroipo. «Mi ha colpito – racconta – innanzitutto per la scrittura di Urli, vivace e dalla quale emerge la sua simpatia per questa donna. E poi mi ha colpito la storia di Vera che da ragazzina diventa donna nel campo di concentramento, subendo anche molestie dal padrone presso cui era costretta a lavorare come contadina. Nella loro storia – prosegue Valoppi – Vera e Nino dimostrano grande forza nel portare avanti la vita senza lasciarsi abbattere. E il bambino che nasce è una testimonianza di ciò. È una vicenda esemplare di quelle persone comuni che non vengono mai citate, ma che sono le vere protagoniste della Storia. Il messaggio è veramente positivo e per questo abbiamo grande piacere di poterlo portare anche nelle scuole».
La lettura teatralizzata, che si avvale anche di un accompagnamento di musiche klezmer, era già stata presentata in anteprima nel febbraio dell’anno scorso a Camino al Tagliamento, riscuotendo molto successo e suscitando interesse, al punto che quest’anno le richieste di riproporre il lavoro sono state numerosissime.
Oltre alle date friulane di gennaio, ne sono previste due, a febbraio, in Istria, per le comunità degli italiani di Verteneglio e Umago. E l’1 marzo nuova replica in Friuli, nella biblioteca di Campolonghetto di Bagnaria Arsa.
«L’obiettivo – concludono Valoppi e Moretti – è che, anche attraverso il teatro, rimanga accesa una luce sull’orrore vissuto dai deportati civili, militari e politici nei campi nazisti. È un modo per tramandare e conservare nel futuro la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia, nel nostro Paese e in Europa, affinché simili eventi non possano mai più accadere».

Stefano Damiani

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