All’approssimarsi delle elezioni amministrative dell’8 e 9 giugno, La Vita Cattolica prosegue con gli approfondimento su alcuni dei temi che interpellano i nostri amministratori, zona per zona. Dopo il servizio sull’area della montagna e pedemontana friulana, sulla Vita Cattolica del 22 maggio 2024 ampio spazio è dedicato alle questioni che interessano la collina. È mons. Dino Bressan, parroco di Tricesimo, ad offrire un’analisi sulla situazione del territorio, guardando avanti (nel servizio pubblicato sul settimanale diocesano spazio anche alle analisi e proposte da Roberto Molinaro, già sindaco di Colloredo di Monte Albano, consigliere regionale per 20 anni, assessore, oggi attivo nel terzo settore, dalla Fism al Civiform).
Mons. Bressan, quali sono le necessità sociali che un parroco coglie in tempi come questi dalla sua gente, magari visitando le famiglie?
«Le nostre famiglie sono sottoposte a diversi stress. Ne elenco solo alcuni. I ritmi di lavoro che non permettono alle famiglie di incontrarsi; il futuro sociale incerto e l’instabilità mondiale che influiscono sulla tranquillità psicologica; i genitori sempre più sprovveduti davanti ai temi educativi; la mancanza di speranza, di prospettive e di orizzonti culturali e spirituali, che rinchiudono le famiglie nei problemi della sopravvivenza quotidiana. Fino ad arrivare, alle problematiche collegate alle separazioni e ai divorzi. E la famiglia è sempre più sola, perché è sempre meno legata alla comunità».
La periferia è ancora un “dormitorio” oppure si sta rigenerando rispetto a Udine?
«Di fatto, le nostre zone sono da anni dei dormitori. Si acquista e si affitta non in base alla comunità, scelta per appartenenza od elezione, ma si decide di risiedere in base alla vicinanza al lavoro. La conseguenza è di un “abitare” di tipo funzionale, e dunque non esiste alcun investimento di tipo comunitario, né di responsabilità o di relazioni con le persone e le istituzioni che fanno la comunità. Almeno fino ai 13/14 anni, la stessa scelta scolastica per i figli, avviene in base alla facilità di raggiungere il posto di lavoro di uno dei due genitori. E ciò alla fine, crea generazioni di apolidi che non vogliono – per necessità – impegnarsi in alcuna dinamica comunitaria religiosa o sociale».
Dalla politica, e in particolare dalla pubblica amministrazione, che cosa si aspettano oggi i cittadini?
«È difficile dirlo. Sento esigenze legate al vivere quotidiano (autobus per raggiungere la scuola e il lavoro; tasse e tributi meno esosi; marciapiedi meno stretti; parcheggi per le auto…). Credo che la “politica” si sia abbassata di molto nei suoi obiettivi e nei suoi orizzonti e stia educando i cittadini a fare altrettanto».
Quali difficoltà riscontra un parroco nella risposta dei pubblici amministratori?
«Credo che ogni parroco abbia a cuore i buoni rapporti con le istituzioni, anche per un passato che ci ha permesso di godere delle “buone pratiche” messe in atto dalle amministrazioni. Non possiamo dimenticare il “miracolo” Friuli della ricostruzione del 1976. Certamente le nuove generazioni di amministratori dovranno fare i conti con necessarie scelte di più alto livello. Da troppi anni la “professionalizzazione” delle cariche pubbliche fa stagnare il livello culturale dei nostri amministratori. Un amministratore, seppur di un piccolo paese, deve dedicarsi allo studio assiduo ed interrogarsi, deve essere in grado di provocare un ampio confronto tra i suoi cittadini. Da più di venti anni il tasso demografico dei nostri paesi è spaventoso: non si nasce; i nati non riescono a sopperire ai deceduti. Da più di venti anni si continuano a costruire capannoni con la sola preoccupazione di arricchire le casse dei comuni, e in altre zone si percepisce l’idea di paesi fantasma: le attività commerciali e industriali si stanno chiudendo, le scuole si stanno svuotando. E mi pare che vi sia una supina accettazione di questi dati di fatto, senza grossi sussulti di interrogativi».
La sanità è il tema più avvertito. Si dice che un sindaco non possa fare molto. Eppure è una sentinella essenziale rispetto ai bisogni.
«Impostate come sono oggi le scelte della sanità, ai sindaci non resta che ben poco. Da anni si è pensato a tagliare la sanità, a trasformare le strutture ospedaliere in aziende per “risparmiare”, distruggendo uno dei migliori tessuti sanitari e di prossimità al cittadino esistenti. Di fatto si è favorito il privato, creando una spaccatura sociale: i meno abbienti utilizzano il pubblico, i più agiati il privato sanitario».
Bastano i bonus per rimediare alla glaciazione demografica?
«Gli aiuti alle famiglie mi pare siano buoni ma sono interventi pubblici senza lungimiranza, perché si continua a ragionare in termini solo economicistici. Il problema è molto più impegnativo. La “glaciazione demografica” è prima di tutto un problema culturale e non solo economico. Fino a quando la vita nascente viene utilizzata nei ragionamenti collegati alla mancanza dei posti di lavoro, è ovvio che non si può risolvere il problema della denatalità. Chi amministra il bene pubblico si deve interrogare sui grandi “perché”. Perché i propri cittadini non amano più la vita, né amano mettere al mondo i figli? Perché non si costruiscono più famiglie e, per decenni, si vive nell’incertezza di una convivenza? Perché si decide di andarsene da questo territorio, scegliendo altri miraggi? Non basta, richiamare una vaga mancanza di valori, che peraltro è lapalissiana».
Francesco Dal Mas