La 50ª Settimana Sociale dei Cattolici in Italia, in programma da questo pomeriggio, 3 luglio, al 7 luglio sul tema “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro” «vuole dare di nuovo impulso ad una partecipazione dei cattolici, ma non solo, dentro a un contesto come il nostro che presenta tante difficoltà e criticità». Sintetizza così il vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, l’appuntamento, che riunirà nel capoluogo del Friuli-Venezia Giulia 1066 delegati di Diocesi, associazioni, movimenti e “Buone pratiche” provenienti da tutta Italia in un’ampia intervista pubblicata sulla Vita Cattolica del 3 luglio 2024.
La Settimana Sociale sarà inaugurata oggi dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e si chiuderà con Papa Francesco, che il 7 luglio concluderà i lavori e presiederà la concelebrazione eucaristica. Qui un estratto dell’intervista pubblicata sul settimanale, a cura di Francesco Dal Mas.
Eccellenza, quali sono le urgenze che ci interpellano oggi?
«Pensiamo alla crisi climatica, pensiamo alla questione delle guerre, per cui da una parte ci troviamo un po’ stretti dal dover prendere delle decisioni importanti da non rimandare continuamente e dall’altra parte dal fatto la democrazia ha bisogno di un consenso che talvolta è difficile da trovare a causa degli estremismi dei veti incrociati, delle polarizzazioni che anche i mass media talvolta pongono perché bisogna spettacolarizzare tutto, bisogna giocare allo scontro. Io penso che i cattolici abbiano un ruolo ancora maggiore: l’essere capaci di mostrare come c’è anche una razionalità del Bene. Io penso che la speranza cristiana sia una grande chance per il mondo intero».
Trieste è la città-icona delle trasformazioni sociali e culturali, per alcuni aspetti antropologiche, in atto. Una transizione che costa fatica, ma si evolve in positivo. Bene, quale “lezione” c’è da imparare da Trieste?
«Non è che abbiamo da insegnare perché siam stati più bravi e abbiamo trovato la soluzione, ma ci stiamo provando. Trieste è passata attraverso le grandi violenze del secolo breve, l’emblema figurativo sono la Risiera di San Sabba e le foibe di Basovizza, con tutte le tensioni poi causate dalle violenze, dalle incomprensioni, dagli integralismi dei totalitarismi e anche dal peso di una storia ferita. Pensiamo anche a tutti gli esuli, tutto questo lo stiamo rileggendo oggi cercando una memoria purificata, come di una terra “bonificata”, così che non continui ad avvelenare i suoi frutti. Io penso che Trieste sia anche questo: l’incontro tra gente che ha cultura, lingua, religioni diverse e si sta impegnando in un cogliere l’altro come una risorsa».
Ci siete riusciti?
«Io penso che dei passi in avanti sono stati fatti. Certo, rimangono dei fronti accesi sui quali ci stiamo impegnando, penso al tema delle migrazioni, dove stiamo ancora faticando a trovare la composizione dei diritti di tutti, di quelli che scappano e dei cittadini che magari hanno le loro paure e si sentono un pochino minacciati nell’incapacità di governare il fenomeno migratorio. Ci stiamo provando. Stiamo compiendo un cammino nuovo di riconciliazione, l’emblema ancora è quello dei due Presidenti, Mattarella e Pahor, che si danno la mano. Magari Trieste fosse davvero il laboratorio dove anche gli Ucraini e i Russi potessero attingere, dove i Paesi balcanici potessero riconoscere che le tensioni che stanno attraversando possono trovare un’evoluzione positiva! Certamente anche per il nostro Paese, per l’Italia può essere una lezione il vedere come si può non restare fermi in questa polarizzazione».
Che cosa dirà a Papa Francesco?
«Sarò espressione della nostra terra per ringraziarlo per il suo essere vicino e anche e per esserci continuamente di stimolo a non rassegnarci di fronte ai problemi e alle sofferenze di tanta gente e di tante persone che faticano nella vita. Qualche piccolo segno lo daremo. C’è tanto affetto nei suoi confronti, che va dai bambini agli anziani».