Studio dell’Università Trieste. I figli spesso vittima di violenza assistita
Il 28% delle donne conviventi con un uomo violento ha denunciato un aggravamento della situazione durante il primo lockdown. Condizione che in alcuni casi le ha spinte a rivolgersi a un centro antiviolenza in Friuli Venezia Giulia. E’ quanto emerge da una ricerca condotta da Patrizia Romito dell’Università di Trieste, Martina Pellegrini, Centro antiviolenza Goap di Trieste e Marie-Josèphe Saurel-Cubizolles, Università di Parigi e Inserm, sull’evoluzione della violenza contro le donne da marzo a maggio 2020, diffusa in occasione del convegno “Visibilità e invisibilità della violenza contro le donne” promosso oggi dal dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Trieste. Dalla ricerca, che ha raccolto le interviste di 238 donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza della regione, è emerso che per il 56% delle vittime non conviventi con il maltrattante, durante il lockdown, gli episodi di violenza sono diminuiti: le misure di distanziamento dunque hanno rappresentato una tregua. Tuttavia, i risultati dello studio mostrano che per alcune, conviventi o meno, la violenza è aumentata ancora dopo il lockdown, con il ritorno alla cosiddetta normalità.
I maltrattamenti, è stato ricordato dai relatori dell’incontro, si possono intercettare in diversi modi. Ad esempio nel pronto soccorso pediatrico di un ospedale. All’Irccs materno-infantile Burlo Garofolo di Trieste, durante la pandemia, da febbraio 2020 a gennaio 2021, madri di bambini sottoposti a osservazione clinica o ricovero in reparto hanno risposto a un questionario anonimo: qui è emerso che il 44% di 212 intervistate stava vivendo una situazione di violenza da parte di un partner o ex-partner. E secondo i dati in letteratura si stima che almeno due terzi dei loro figli siano vittime di violenza assistita.