Primo Maggio festa del lavoro? Ma che lavoro? Dallo speciale pubblicato sulla Vita Cattolica del 23 aprile, emerge che le figure più ambite da raggiungere per un giovane fra i 18 ed i 34 anni sono il dirigente, il capo, il responsabile , con punteggio di 77,2 su una scala di 100. L’imprenditore (o l’imprenditrice) si piazza subito dopo, a 71,5. E al terzo posto – a quota 47 – si trovano l’influencer, il blogger, il tiktoker. E l’avvocato, l’architetto, il notaio? Alla quarta posizione (45 come quota, quindi vicina alla precedente). Molto distanti si collocano, nell’ordine, l’insegnante (37,6), il lavoro d’ufficio (29), l’artigiano (26), il commerciante (23). L’operaio, il commesso e il contadino sono a pari quota: 19. I numeri sono quelli di una ricerca di Community Research&Analysis (del febbraio 2024) realizzata fra 4.382 ragazzi intervistati. L’ha condotta il sociologo Daniele Marini, docente dell’Università di Padova, che nell’ampia intervista pubblicata sul settimanale spiega i cambiamenti in atto riguardo al “valore” che i giovani danno al lavoro».
«Se prima il lavoro era al primo posto, adesso per le nuove generazioni è in “condominio” con altri valori, come il benessere personale, la cultura e il tempo libero da dedicare ai propri interessi», spiega Marini. Davanti ad una proposta di lavoro, i giovani «guardano certamente allo stipendio e alle tutele offerte, ma questi si rivelano aspetti “necessari, ma non sufficienti”. Entrano, infatti, in gioco valori immateriali di tipo qualitativo, come le potenziali prospettive professionali e il clima di lavoro interno all’azienda. Se le imprese vogliono attrarre i pochi giovani su piazza, e trattenerli, non dovranno offrire “solo” lo stipendio, ma anche tenere presente tutto il resto. Si è in parte rovesciato il rapporto tra aziende e lavoratori: la tipica frase “le farò sapere” spesso è il giovane a dirla a chi gli offre lavoro».